Estratto dell’articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
Il bonifico di 16 milioni di fiorini ungheresi, poco più di 40.000 euro, è partito ieri dall’Italia. Ora bisogna attendere i tempi tecnici dell’accredito e la disponibilità della valuta per far sì che Ilaria Salis possa lasciare il carcere di Budapest e trasferirsi nell’appartamento scelto per scontare gli arresti domiciliari durante il processo a suo carico. Probabilmente nei primi giorni della prossima settimana.
All’ambasciatore italiano Manuel Jacoangeli che ieri è tornato a visitare la detenuta, i funzionari del penitenziario hanno confermato che una volta che la somma fissata per la cauzione comparirà sul «conto di garanzia giudiziario», non ci saranno altri ostacoli all’esecuzione del verdetto firmato dai tre giudici della Corte d’appello metropolitana: il presidente Virág Bernadett Borbás, e i giudici a latere Katalin Raczky e György Ignácz.
Estensori di un provvedimento giudiziario dalle evidenti implicazioni politico-diplomatiche, varato con ogni probabilità anche per evitare che all’udienza del prossimo 24 maggio una candidata alle elezioni per il Parlamento europeo comparisse in catene e ceppi davanti a un tribunale. Tenuta al guinzaglio e circondata da agenti della sicurezza mascherati e con il giubbotto antiproiettile .
Alle rimostranze — anche ufficiali da parte del governo italiano — per questo tipo di trattamento, le autorità ungheresi hanno risposto che quella è la regola per la traduzione di imputati di reati gravi come quelli contestati all’attivista antifascista italiana: associazione criminale e concorso in lesioni potenzialmente letali. […] gli arresti domiciliari sono così diventati non solo la via d’uscita dalla prigione per Ilaria, ma anche per il governo di Budapest che sarebbe stato nuovamente investito da inevitabili polemiche.
[…] Roberto Salis, il padre dell’attivista […] si rivolge a Tajani per chiedergli di «lavorare per la sicurezza di Ilaria, che in Ungheria è stata minacciata, come i suoi avvocati italiani», […] A proposito di elezioni, c’è chi teme che la concessione dei domiciliari (e dunque la cessazione delle condizioni di detenzione così dure e inumane subite e descritte da Ilaria Salis nell’ultimo anno), possa indebolire la candidatura, visto che non c’è più la necessità di tirarla fuori da quella cella.
ILARIA SALIS IN CATENE IN TRIBUNALE
«Non scherziamo — ribatte il padre Roberto, impegnato in una sorta di campagna elettorale per conto terzi —. A parte il fatto che mia figlia non è libera ma ancora detenuta, con i domiciliari conteggiati solo per un quinto rispetto alla durata della pena, sta comunque continuando a subire un processo chiaramente politico, nel quale ha rifiutato il patteggiamento a 11 anni di carcere per un reato inesistente rispetto alla oggettività dei fatti, nel quale rischia di essere condannata a vent’anni. C’è assoluto bisogno della sua elezione per portare il suo caso a Strasburgo» .