Lettera di Carla Vistarini a Dagospia
1977, foto vintage Carla Vistarini a New York con le torri gemelle sullo sfondo
Ero sul ferry da Ellis Island a Manhattan, una mattina di novembre del '77. Alle mie spalle c'era New York, la sua luce, la sua voglia di vivere. E, belle, grandi, vive, le Torri Gemelle. Era una delle mie prime volte negli Stati Uniti, amatissimo paese dalle amate musiche, amati libri, amati film, immensi paesaggi, incantevoli ingenuità, e drammatici contrasti.
Un paese da leggenda, che sembra una creazione della letteratura e forse lo è, insieme ai battiti perenni che ogni cuore accarezza almeno una volta nella vita, quelli del sogno americano. Anche solo per quel sogno, un luogo da amare. E chi non lo ama è soltanto, forse, perché lo ama troppo e non si sente riamato abbastanza. Come un figlio ritrovato, ma dopo troppi anni, da un genitore distratto.
Nel tempo sono tornata innumerevoli volte in America, alcune per lavoro, altre per l'irresistibile, ricorrente desiderio di tornare a respirare quell'aria da eterni giorni on the road, su strade azzurre che si chiamano Route 66 o altri numeri che paiono tutti meravigliosi, verso un ovest dove c'è posto per tutti, oro per tutti, jazz per ognuno.
Dove per le strade cammina Philip Marlowe e alla scrivania c'è Mark Twain, e a San Francisco vive Jack London, e nel mare appare Moby Dick, e all'angolo di strada suona Miles Davis, e in una radio del New Jersey c'è la voce di Frank Sinatra, e in un solitario bar notturno i falchi della notte di Hopper aspettano qualcosa che non arriverà, e da una torta esce cantando Marylin Monroe, e nella notte vola il corvo di Edgar Allan Poe, poco distante da quell'orma sulla luna di Neil Armstrong, mentre l'altro Armstrong, Louis, canta What a wonderful world.
Che mondo meraviglioso. Dove tutto e il contrario di tutto è possibile. Lo stesso mondo racchiuso dentro quelle due torri che ora non ci sono più. Rotolato via tutto, like a rolling stone, coperto dalla cenere, cosparso di carcasse di vecchi sogni, aguzzi come rottami, e statue abbattute, le tende degli homeless nell'Upper East side, e le vite che contano e quelle che non contano. Siamo sospesi su un filo fragile, tutti, dovunque, come funamboli spaventati.
Quelle due torri non ci sono più, ma nessuno, mai, potrà portarcele via dal cuore. Come non sparirà, non può sparire, quell' American dream cantato in mille canzoni, raccontato in mille romanzi, vissuto in mille film e sognato, almeno per un istante, da tutti. "No, no they can't take that away from me", diceva George Gershwin, in una delle sue canzoni più belle,e lo dico anche io. Sempre e per sempre. Never forget, always in my heart.
11 settembre 2001- 11 settembre 2020
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