Ilaria Betti per www.huffingtonpost.it
“Pensare che la scienza debba sapere tutto è una sciocchezza. È da sciocchi non accettare i limiti del sapere”: così Carlo Rovelli, il grande studioso italiano di fisica teorica, commenta ad HuffPost l’accavallarsi quotidiano di dati, studi e ricerche. Lockdown sì, lockdown no, il vaccino ci salverà, il vaccino non è la soluzione: sono solo alcuni dei messaggi contraddittori a cui ci esponiamo ogni giorno e che in qualche modo confondono l’immagine della scienza, che è invece sperimentazione, lavoro incessante.
“Come sosteneva Galileo, la scienza procede per tentativi ed errori. Non bisogna confondere ‘la scienza’ con la faccia di alcuni scienziati che vanno in televisione o si fanno intervistare per esprimere opinioni che di fatto sono opinioni politiche su argomenti roventi - aggiunge Rovelli -. La scienza funziona per discussione e formazione del consenso attraverso la discussione”.
Chi fa scienza non ha le risposte in tasca. Eppure, a giudicare dalle tante prese di posizione sul Covid-19 da parte di chi di scienza si occupa, sembrerebbe il contrario. Per Rovelli, la conoscenza del virus si ferma ad un certo punto: “Nel caso dell’epidemia, ci sono istituzioni internazionali, in particolare l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che hanno raccolto il consenso scientifico attuale su quanto sappiamo dell’epidemia. L’OMS è stata affidabile e chiara nel dire cosa sappiamo e cosa non sappiamo sull’epidemia”.
Nel caso in cui volessimo sapere fin dove arriva il sapere della scienza sull’epidemia, secondo Rovelli, dovremmo ascoltare l’ultimo bollettino dell’OMS, e “non un singolo scienziato che dice la sua in televisione in un talk show, o si fa intervistare da un quotidiano”.
Il fisico offre una definizione chiara di “scienza”: ”È la conoscenza che abbiamo”. Punto. E non c’entra niente con le opinioni politiche. Purtroppo tra i due ambiti si fa ancora troppa confusione. Come nel caso del lockdown. “La scienza ci dice, per esempio, che data la conoscenza attuale che abbiamo, aprire le scuole, tenere aperti i bar, oppure non fare un lockdown, porterà con tale e tale probabilità e con tale e tale incertezza un numero di morti addizionali - afferma Rovelli -. D’altra parte sappiamo anche che non aprire le scuole, chiudere i bar, andare in lockdown, comporta perdita di ricchezza da parte di alcune persone, un danno per i ragazzi, eccetera. Dunque la decisione se dare più importanza ai morti oppure alla ricchezza è una decisione politica, non scientifica”.
TENSIONE ALLA MANIFESTAZIONE NO LOCKDOWN CAMPO DE FIORI
Lo scienziato, in quanto tale, dovrebbe rimanere fermo sui dati empirici che ha e non sbilanciarsi a dare una sua visione: “Fare o non fare un lockdown è una decisione molto difficile che ovviamente ci divide, perché abbiamo interessi particolari divergenti e scale di valori diverse.
Gli ‘scienziati’ che dicono ‘in fondo è una malattia come un’altra’, così come gli altri che dicono che ‘la situazione è gravissima’, non stanno parlando di scienza: stanno parlando della loro scala di valori, o focalizzandosi sugli interessi degli uni o degli altri: per alcuni, dei morti in più non è così grave, per altri lo è. Per alcuni, se qualcuno si impoverisce un po’ non è così grave, per altri lo è”.
Ammettere che la scienza ha bisogno dei suoi tempi, che le più grandi scoperte della Storia non sono avvenute dal giorno alla notte, sarebbe un grosso passo in avanti. Rovelli, che alla scienza ha dedicato la sua vita, sa bene di che pasta è fatta. “Se sapessimo tutto - afferma - sapremmo se la settimana prossima pioverà o no. Non lo sappiamo. È da sciocchi non accettare i limiti del sapere, o pensare che sia colpa di chi sa (quindi dello scienziato), se non sa tutto”. La fiducia delle persone, nel patto invisibile con la scienza, però non deve mai venire a mancare: ”È ancora più da sciocchi - conclude - non dare credito a chi sa, solo perché non sa tutto”.