“NON MI DROGO E NON FUMO PERCHÉ LA CURA DELLA PELLE È SACRA” – LA RIVELAZIONE "SALUTISTA" DI PARIS HILTON: “LA MAGGIOR PARTE DELLE DONNE CHE SI FACEVA DI COCAINA NEGLI ANNI '90 È ARRIVATA AI PRIMI 2000 DISTRUTTA. VEDERLE È STATO UN FORTE DETERRENTE. NON DIRÒ DI NON AVERLA MAI PROVATA, MA NON AVEVO INTENZIONE DI SACRIFICARE LA MIA PELLE. LO STESSO CON LE SIGARETTE. TANTO VARREBBE TIRARSI UNA BADILATA IN FACCIA. A OGGI, L'UNICA CATTIVA ABITUDINE CHE HO È…”

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Da “la Stampa”

Per concessione dell'editore Magazzini Salani pubblichiamo un'anticipazione della biografia di Paris Hilton, Paris. La mia storia, in libreria da domani.

 

paris hilton paris hilton

Il dottor Edward Hallowell, autore di Driven to distraction, dice che il cervello con Adhd (Disturbo da deficit di attenzione/iperattività) è come una Ferrari con i freni di una bici: potente, ma difficile da controllare. Il mio Adhd mi fa perdere il telefono, però mi rende anche quella che sono, quindi se devo amare la mia vita devo amare anche il mio disturbo. E io la mia vita la amo.

 

È giugno 2022, e sto vivendo una delle settimane migliori di sempre. La mia amica Christina Aguilera, che è anche mia vicina di casa, mi ha invitata al Pride di Los Angeles: sarò uno dei suoi ospiti speciali supersegreti. Mentre gli assistenti portavano fuori di casa la mia attrezzatura da dj ero così nervosa ed emozionata che sono uscita senza scarpe. Mi sono presentata nella roulotte del backstage in canottiera, pantaloni da ginnastica di velluto e calzini.

 

paris hilton e il figlio phoenix 3 paris hilton e il figlio phoenix 3

E la cosa si è fatta ancora più imbarazzante quando mi sono infilata nel camerino sbagliato! Dentro c'erano dei ballerini che si stavano cambiando e che quando mi hanno vista si sono messi a gridare di gioia. E via con i selfie, ovviamente.

Cerco sempre di farli io, del tipo che prendo la fotocamera dell'altra persona e la inclino verso il basso – mossa importante se sei alta, perché così eviti inquadrature poco lusinghiere stile "interno narici".

 

Può anche capitare che chi mi ha chiesto il selfie sia agitato e un po' timido (cosa che capisco benissimo), e che quindi gli tremino le mani. Insomma, scattiamo, con i vari «Loves it!», «Sliving!» d'ordinanza, dopodiché me ne vado con i miei calzini esibendomi in quello che mio marito Carter definisce "il trotto dell'unicorno": non proprio una corsa, più aggraziato di un galoppo, non tanto dei saltelli quanto un balletto. Faccio veramente fatica a camminare lenta.

paris hilton 9 paris hilton 9

Dunque eccomi lì, al Pride, con Christina e altre 30 mila persone circa tutte agghindate di arcobaleni e lustrini, a ballare, ridere, stringere abbracci

 

Durante il dj set mi diverto da matti; mi sono esibita subito dopo Kim Petras, che l'anno scorso ha cantato al mio matrimonio una splendida versione acustica di Stars are blind e poi Can't help falling in love mentre io e Carter camminavamo lungo la navata – ecco perché mi sono venute le lacrime agli occhi la settimana scorsa quando, al matrimonio di Britney Spears, dopo tutti quegli anni da incubo, la nostra magnifica principessa-angelo ha fatto il suo ingresso in Versace (e sottolineo Versace, signori) sul sottofondo di quella leggendaria canzone di Elvis Presley che è stata cantata a milioni di matrimoni a Las Vegas, città in cui, nel 1969, mio nonno Barron Hilton inaugurò la tradizione dei residency show proprio con Elvis, al Las Vegas Hilton International, aprendo la strada a Britney e tanti altri artisti rivoluzionari che con quel sistema hanno fatto faville, in un perfetto esempio di come la visione creativa di una persona possa innescare una cascata di genialità che si protrae nel futuro. Un altro esempio perfetto: il mio bisnonno, Conrad Hilton.

paris hilton 8 paris hilton 8

 

Fermi un attimo: dov'ero rimasta? Al Pride! La folla. Oh, mio Dio. Energia. Amore. Luce.

Spirito indistruttibile. Sono dietro la consolle. È come pilotare una navicella spaziale con a bordo le persone più cool di tutta la galassia. Il mio set ruota attorno a pezzi leggendari quali Toxic, oltre al pazzesco remix firmato BeatBreaker di Genie in a bottle di Xtina, regina della serata, più tanti altri pezzi originali o remixati bellissimi che dovrei mettere sul podcast o su YouTube, perché è stato un set davvero divertente. (Nota per me stessa: creare una playlist per questo libro.) Ero talmente concentrata (altra nota per me stessa: aggiungere alla playlist Ultra naté) che solo a metà esibizione mi sono accorta di aver dimenticato il telefono sul bancone della roulotte dove avevo fatto i selfie con i ballerini mezzi svestiti.

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Cazzo. Cerco di non dire continuamente "cazzo". Non voglio abusarne, perché è una parola davvero utile in tante occasioni. Protagonista di mille locuzioni. "Cazzo" è un salvagente.

E allora, cazzoooooooooooo!

Perché senza il telefono io mi sento nuda e vado in mega paranoia pensando che qualcuno possa rubarmelo e diffonderne il contenuto su Internet, cosa che è successa più di una volta.

 

Quindi ringrazio Cade – migliore amico, angelo custode – che a set concluso è corso a recuperarlo. Dopo siamo andati tutti in centro alla festa che io e Christina abbiamo organizzato alla Soho House.

In questo momento sono a casa con i miei amori: Diamond Baby, Slivington, Crypto, Ether e Harajuku Bitch, la chihuahua leggendaria. Su le mani per Harajuku Bitch! Ha ventidue anni. E se ogni anno nostro equivale a 7 dei loro, in pratica ne ha ben 154! Dorme 23 ore al giorno e sembra Gizmo dei Gremlins, però è ancora qui a godersi la vita. So che, una sera o l'altra, tornerò a casa e scoprirò che si è addormentata per sempre. Pensarci mi spaventa molto, è un pensiero intrusivo che detesto.

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I pensieri intrusivi sono la mia nemesi: si fanno largo attraverso la gioia anche dopo un evento epico, vissuto insieme a persone capaci di farmi letteralmente volare, e nonostante un marito che mi aspetta paziente a letto mentre io vado a farmi il bagno e mi occupo della skincare – operazione che, lui lo sa, non salto mai. Sin da quando io e mia sorella eravamo bambine, nostra madre ci ha trasmesso l'importanza di prenderci cura della nostra pelle; durante questo rituale confortante sento sempre la sua presenza con me.

 

Se eseguita correttamente, la skincare equivale a prendersi un momento di dolcezza in un mondo tanto aggressivo. Togli la maschera – quella coraggiosa, quella buffa, quella autorevole, la scorza – e rivedi te stessa, ripulita e rinvigorita. Ed è come dirsi: "Ok, sto bene". Quando ti sei appena lavata la faccia senti tutto in maniera più intensa, come un neonato quando prende la prima boccata d'aria. Una mattina, mentre a colazione preparavo frittata e french toast ai fiocchi di mais insieme a Kim Kardashian, lei mi ha detto: «Non conosco nessuno che faccia festa quanto te e che abbia l'aspetto che hai tu». Skincare. Dico sul serio.

 

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Se non vi resterà nient'altro della mia storia, ricordatevi almeno questo: la skincare è sacra. La maggior parte delle donne che si facevano di cocaina negli anni '90 è arrivata ai primi 2000 distrutta. Vederle è stato un forte deterrente. Non dirò di non averla mai provata, ma non avevo intenzione di sacrificare la mia pelle. Lo stesso con le sigarette. Tanto varrebbe tirarsi una badilata in faccia. A oggi, l'unica cattiva abitudine che ho è l'abbronzatura spray.

 

Mia sorella Nicky non la sopporta, io invece ne sono abbastanza dipendente. Per il resto, io e Carter ci teniamo molto al benessere e alla cura della pelle. Il nostro motto è: «Per sempre non basta». Prenderci cura di noi stessi è qualcosa che facciamo l'uno per l'altra per amore. Vogliamo che la nostra vita, così bella, duri a lungo.

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