Natalia Aspesi per “la Repubblica”
Per la bizzarria di un incontro fortuito tra uno spermatozoo incauto e un ovulo compiacente, io sono nata femmina. Almeno così mi è stato subito comunicato con una certa mestizia dalla mia stessa mamma (aveva partorito nel gabinetto di casa, velocemente, quasi senza accorgersene). Ubbidiente e impegnata in altre faccende che mi parevano più interessanti, ho vissuto sempre da femmina, dovendomene ogni tanto lamentare, ma di solito senza problemi.
È solo adesso, avvicinandomi al mio centenario quindi enormemente fuori tempo, che mi è venuto in mente di chiedermi, "cosa vuole dire essere donna?". Cosa vuole dire per me, visto che oggi l'anatomia e la biologia, i miei soli banali riferimenti, sono del tutto secondari e talvolta dispettosi e bugiardi. Michela Marzano, la mia filosofa di riferimento, ha cercato di spiegare con un suo bell'articolo in queste stesse pagine, che se si vuole mettere la coscienza a posto bisogna saperne di più, dimenticarsi delle ragioni di quel che ci siamo ritrovato tra le gambe senza chiederci il permesso, e districarci tra orientamento sessuale, genere e identità.
Così a prima vista, impegno non alla portata di tutti, anche perché non tutti, me compresa, avrebbero la cultura, oltre che l'istinto, per capire. E invece mi pare di averlo capito subito: io non so cosa voglia dire essere donna, come non saprei cosa vuol dire essere uomo, sono etichette legate al corpo e non al resto della persona: e perciò io sono io, e come tale mi pare giusto comportarmi da io, senza chiedere il permesso a nessuno.
Con l'articolo "Se non è il sesso a fare la donna" Marzano è finalmente andata oltre l'omosessualità che se non fosse per i piagnoni di Instagram sempre a lamentarsi dei cattivi etero, non la noterebbe nessuno, e sprona la sinistra che poverina di problemi ne avrebbe di impellenti, «a fare un esame di coscienza » e a prendersi carico dell'ennesima differenza, quella delle persone trans: tipo un'anagrafe separata, o la cancellazione di M e F ovunque (la mia nuova carta d'identità ha un bel F sotto il nome) e certamente cessi in comune (figuriamoci i resti del MeToo!). Si sa che la sinistra adora le buone cause che non costano nulla, ma certo il leader dei laburisti inglesi deve essersi sentito smarrito nel dover riconoscere che «una minoranza di donne poteva avere il pene».
Nel dibattito di grande e complesso pensiero, insinuo una mia scemenza. Perché se sei trans col pene vuoi essere chiamato donna, e se sei trans con vagina vuoi essere chiamato uomo? Proprio adesso (in verità se ne parla da cinquant' anni) che forse stiamo per raggiungere ogni forma di parità tra uomo e donna, di lavoro, di carriera, di stipendi, eccetera, perché l'aspirazione politica e umana dei trans è quella di affermare la differenza, uomo se donna e donna se uomo, e non semplicemente essere riconosciuti come trans o addirittura persone?
E mi permetto di sussurrarlo anche alle Terf, femministe (americane ovvio, solo gli americani pensano sempre a quelle cose là) gelose della loro femminilità, perché sofisticano sul fatto che puoi vantarti di essere donna solo se hai l'utero con tutti gli annessi e connessi?
Altra curiosità: negli anni '70 tra i gruppi femministi ce ne erano un paio di combattive trans italiane che intervistavo: andavano avanti e indietro da Casablanca, per eliminare ciò che impediva loro di essere apparentemente donne e lottavano per ottenere come donne Cultura ciò che avevano già come uomini; vere eroine. Poi penso a Girl , quel film belga del 2018, delicato e intelligente, in cui un quindicenne di grazia commovente inizia col consenso del padre e il sostegno degli psicologi il percorso chimico e chirurgico per diventare una ragazza, la ballerina classica che vuole essere.
Anche in Italia ci sono reparti d'ospedale riservati a queste cure che mi pare siano sostenute anche dalla sanità pubblica. Però politica e ideologia sembrano più interessati al trans che è donna conservando fieramente i suoi gioielli. Curiosità di vecchia peccatrice che nulla sa dei riti contemporanei: talvolta se ne fa ancora un uso non del tutto femminile? Oppure il trans è davvero una donna in tutto tranne che nel comportamento sessuale?