Maria Novella De Luca per “la Repubblica” - Estratti
MICHELE M. IMPIEGATO DI TORINO violenza sulle donne
«Sono andato a vedere il film di Paola Cortellesi e ho pianto per tutto il tempo. Nella violenza di quel marito, di quel padre, di quei maschi che parlano soltanto il linguaggio della violenza ho riconosciuto un pezzo di me, dell’uomo che ero. Non sono mai stato così feroce, ma se anche una volta hai alzato le mani su una donna, se hai sentito quella maledetta voglia di sopraffazione, vuol dire che la violenza ce l’hai dentro e l’unico modo per salvarsi è riconoscerla. Cambiare si può, io l’ho fatto».
Michele M. vive a Torino, fa l’impiegato, ha due figli grandi e un bel po’ di coraggio. «Mica è facile dire: io picchiavo». No, infatti. Una fatica tremenda, con le parole che filtrano goccia a goccia. Però Michele racconta. Perché nella sua vita un giorno è arrivato il “Cerchio degli uomini”. Perché altri possano chiedere aiuto. Prima, forse, di trasformarsi in assassini.
Michele, era consapevole di essere un uomo violento?
«Ogni volta che accadeva mi pentivo. Ma cercavo sempre una giustificazione esterna. Mi dicevo: è stata lei a provocarmi, mi tradiva, voleva dominarmi, l’ira mi ha accecato. Come un ritornello.Dunque no, non ero consapevole».
Chi erano le sue vittime?
«Nella mia vita ho picchiato due donne. La mia ex moglie e una mia compagna. Mia moglie ed io ci siamo sposati giovanissimi, due ragazzi, per dieci anni non abbiamo avuto figli. Il nostro è sempre stato un rapporto burrascoso, avevamo delle brutte litigate e finiva a botte. Letteralmente. Io picchiavo ma anche lei picchiava. Un calcio, uno schiaffo. Certo, lo ammetto, la forza fisica di un uomo non è paragonabile a quella di una donna.Ed era in me che scoppiava l’ira. Litigavamo ma poi facevamo la pace. Poco prima che nascessero i nostri due figli c’è stato l’episodio più grave».
Cosa è successo?
«Ero molto geloso e pensavo che lei avesse una relazione con il suo capo. Una sera l’ho spinta contro il muro e le ho dato una testata che le ha spaccato il sopracciglio. È finita al pronto soccorso. Ricordo poi di essermi vergognato moltissimo, sono scappato via. Sono corso da mio padre, ho promesso che non l’avrei fatto più».
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Dopo la “testata” e il sopracciglio spaccato, sua moglie la perdonò?
«Dopo quell’episodio in un modo o nell’altro siamo andati avanti. Tra il 1997 e il 2000 sono arrivati due bambini. Oggi i miei figli hanno 24 e 26 anni, sono ragazzi solidi e sono la mia ragione di vita. (...) Una sera le ho tirato uno zoccolo in faccia e le ho incrinato il setto nasale. Mi ha denunciato. Ci siamo lasciati. Abbiamo divorziato. Ancora mi chiedo come mai non ci fossimo lasciati prima».
È stato allora che è entrato nell’associazione il “Cerchio degli uomini” di Torino, centro di ascolto che aiuta i masc hi violenti a lavorare su se stessi e a cambiare?
«Purtroppo avrei dovuto sbagliare ancora, prima di intraprendere il percorso che mi ha fatto rinascere. Dovevo toccare il fondo. Dopo il divorzio ho avuto altre due relazioni. Con la mia seconda compagna, una donna forte, dominante, rispetto alla quale mi sentivo inferiore, la violenza è riesplosa. Una sera, tornati da una cena, volevo dormire, lei invece voleva parlare.
Eravamo nel letto e lei, arrabbiata, mi aveva dato un colpo ad una gamba. Ricordo la mia rabbia feroce: mi sono buttato su di lei in un lampo, con tutta la forza che avevo e le ho messo una mano al collo. Mi sono fermato in tempo. Per fortuna. Qualche giorno dopo mentre tornavo dal lavoro in bicicletta lungo la Dora ho visto il manifesto del “Cerchio degli uomini”».
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Domenico, Roberto, Franco i responsabili del “Cerchio” è come se mi avessero preso per mano.
C’erano altri come me nella stanza, dove ognuno di noi tirava fuori il suo lato violento e lo guardava, lo analizzava, lo smembrava in mille pezzi. (...) Sono lunghi incontri in cui c’è una forte introspezione di sé, si seguono tecniche psicofisiche, ma la forza di tutto è l’essere uniti ad altri nel dolore del cambiamento».
La violenza nei maschi però ha radici familiari, culturali.
«Sì, il patriarcato ce lo abbiamo dentro tutti, sradicarlo è difficilissimo, fa male. Ma è questo è il lavoro che si fa nel “Cerchio” con psicologi, counselor, tra uomini come me che hanno cercato aiuto volontariamente, ma anche persone inviate dai tribunali perché autori di violenza».
Oggi si ritiene cambiato?
«Credo di sì, ma ci sono voluti tre anni. Oggi quando sento che potrei avere una reazione impulsiva di fronte a qualcosa mi fermo, ragiono, mi ricordo gli esercizi del “Cerchio”. Ho una compagna e il nostro rapporto è sereno».
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