carmine gallo samuele calamucci
Estratto dell’articolo di Monica Serra per “La Stampa”
Nell'enorme archivio della banda degli spioni c'erano anche «dati classificati», top secret. Come un documento di 43 pagine riconducibile all'Aisi, il servizio segreto italiano interno «riservato» e risalente al 2008-2009 sulle «reti del Jihad globale». I carabinieri del Ros, con i colleghi di Varese, lo hanno trovato quando l'hacker Nunzio Calamucci ha collegato una sua chiavetta a un pc della società di via Pattari 6 controllato da un Trojan della procura. Dentro c'erano anche 52.811 interrogazioni Sdi del Ced interforze del Viminale. Molte erano «riconducibili» a un ex carabiniere indagato.
«Con i report che abbiamo noi in mano possiamo sputtanare tutta l'Italia», diceva Calamucci intercettato. Per il pm Francesco De Tommasi, «il principale punto di forza dell'organizzazione criminale è proprio la rete relazionale di altissimo livello» su cui possono contare «lo zio bello» Enrico Pazzali, presidente di Fondazione Fiera Milano a capo della società di intelligence, e il socio Carmelo Gallo, ex colonna portante dell'Antimafia milanese.
Non solo con persone «appartenenti ai più elevati ranghi delle istituzioni pubbliche, estranee ai fatti e all'oscuro delle dinamiche criminose interne a Equalize». Ma anche in altri ambienti come «quello della criminalità mafiosa e quello dei servizi segreti, pure stranieri, che spesso promettono e si vantano di poter intervenire su indagini e processi, per bloccare iniziative giudiziarie».
L’hard disk e il pc di Nunzio Samuele Calamucci
Non è un caso che Calamucci – legato anche ad Anonymous («Con loro condividiamo...), che è stato in grado di violare il sistema informatico del Pentagono – si vantava: «I cialtroni saltano, noi abbiamo la fortuna di avere clienti Top in Italia (per l'accusa, come Barilla, Erg, il banchiere Matteo Arpe, Del Vecchio Jr, la giudice Carla Romana Raineri, ex capa di gabinetto di Raggi)».
Ma anche «contatti tra i servizi deviati e i servizi segreti seri, di quelli lì ti puoi fidare un po' di meno, però, il sentiamo, fanno chiacchiere, sono tutte una serie di informazioni…». Dati sensibili e riservati che, ipotizza la procura diretta da Marcello Viola, potrebbero essere finiti anche all'estero.
E non è un caso neanche che, quando il gruppo discuteva di effettuare autonomamente i «positioning» cioè la localizzazione dei cellulari delle vittime, lo stesso Calamucci proponeva: «Allora, domani mattina prima di venire qua passo in Regione a chiedere! Vedo cosa... cosa c'è in sconto e te lo faccio sapere!» . Per il pm, un chiaro «riferimento agli uffici dei servizi segreti che sono nello stesso palazzo, dove evidentemente l'hacker vuole verificare la possibilità di acquistare a prezzo ribassato l'apparecchiatura».
Per l'accusa, la banda che aveva bucato anche i database del ministero dell'Interno, che sosteneva di aver «clonato» un account email del presidente Sergio Mattarella, e che era in grado di «tenere in pugno» cittadini e istituzioni, di «condizionare in modo pregiudizievole dinamiche imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie» e di «mettere a rischio la sicurezza nazionale», rappresenta «un pericolo per la democrazia di questo paese».
Il suo «capo indiscusso», l'ex superpoliziotto Gallo, viene definito una persona «tentacolare, spregiudicata e senza scrupoli», con «le mani in pasta ovunque» che «intrattiene rapporti con diverse personalità di rilievo, oltre che con diversi pregiudicati, anche per associazione mafiosa».
Per l'accusa, infatti, l'ispettore in pensione è «pronto a scendere a patti con esponenti della criminalità milanese». Tant'è che «per ottenere la disponibilità di un posto auto a San Siro per ragioni di rappresentanza» era intenzionato «a contattare il capo ultrà dell'Inter Vittorio Boiocchi», poi freddato a colpi di pistola e con 26 anni di carcere alle spalle.
Ma la rete che aveva costruito la banda è vastissima […] Il gruppo intratteneva rapporti anche «con ex vertici delle forze dell'ordine e dell'amministrazione degli Interni, divenuti poi security manager o membri dei cda di aziende private».
Diceva Calamucci: «Adesso c'è il nuovo... il vice... l'ex prefetto di Como! Che è entrato come security manager... perché tutte le ex cariche di un certo livello entrano nel Cda di qualcosa, e noi… spaziando dai carabinieri alla polizia all'esercito… abbiamo un ventaglio di ex cariche che diventano nostri clienti... l'ex questore di Como fa morir dal ridere, è entrato come security manager in Bennet».
Era stato proprio lui, per l'accusa, a mettere in contatto Equalize con Barilla.
Ma il gruppo poteva contare anche su contatti nei giornali per spifferare qualche notizia che gli faceva comodo: «Chiamiamo Roberto, Dagospia… lui sa davvero che ci sono queste foto … quando tu gli dai una notizia, lui la pubblica ed è una delle testate più temute dalla gente… lo rispettano tutti come un dio...».