Claudia Osmetti per "Libero quotidiano"
Otto anni dopo, Walter Onichini finisce in carcere. «Non è facile da accettare - dice la moglie Sara, - la viviamo come un'ingiustizia». È un commerciante padovano, Onichini. Ha 39 anni e gestisce un'azienda per la lavorazione della carne: la sua vicenda inizia nel 2013, in una notte di luglio, quando si sveglia di soprassalto per dei rumori sospetti davanti alla sua villa di Legnaro. Si affaccia al balcone e lo vede, il ladro che sta armeggiando attorno alla sua macchina.
È in giardino, si chiama Nelson Ndreca, è di origini albanesi, sui vent' anni. Ha anche una lista di precedenti lunga così, Ndreca: ma questo Onichini, allora, non lo sa. Sa solo che qualcuno è entrato nella sua proprietà, che ha cattive attenzioni, che potrebbe finire male. «L'ho fatto per mio figlio», dirà in tribunale. Lì per lì agisce d'impulso, prende il fucile e spara. Colpisce l'albanese, ferendolo. Poi scende le scale, carica il malvivente in macchina e avvia il motore.
Vuole portarlo in ospedale, ma lo lascia in un campo, a qualche chilometro di distanza. Una volta tornato a casa chiama i carabinieri. Il mattino dopo è su tutti i giornali. L'ennesimo commerciante che reagisce, che prova a proteggersi. Una legge sulla legittima difesa, ancora, non c'è in Italia: se ne parla da tanto, chi la auspica (la Lega) si schiera a fianco di Onichini; chi non ne vuol sentire neanche l'odore punta il dito. Otto anni vanno avanti così. Tra processi, avvocati, faldoni. Il primo grado è una mazzata: «colpevole», dicono i giudici.
Lui ricorre in appello, non va meglio: gli danno 4 anni, 10 mesi e 27 giorni di carcere per tentato omicidio. Il suo avvocato, Ernesto de Toni, spiega ai magistrati che sì, è vero: se quella volante delle forze dell'ordine non avesse trovato quasi subito Ndreca, sarebbe morto dissanguato, ma il suo assistito voleva davvero portarlo a medicare. Però a metà strada si è trovato un coltello puntato alla gola e ha dovuto lasciarlo andare.
Il caso arriva in Cassazione e si accende qualche speranza quando il procuratore generale chiede di derubricare il reato, di ammettere l'eccesso colposo di legittima difesa. Niente da fare: la Suprema Corte conferma la condanna. E lunedì mattina, per Onichini, si aprono le porte del penitenziario. Gli uomini dell'Arma che bussano alla porta di casa. «No, non adesso», la moglie scoppia a piangere, «ci sono i bambini, non volevo che vedessero».
Resta anche l'amaro in bocca, perché Ndreca in tribunale s' è presentato solo per testimoniare contro di lui: poi, e nonostante una condanna già bollata ma senza l'ordine di carcerazione, se l'è data a gambe. «Adesso siete venuti in cinque per prendere me - sospira Onichini agli agenti che lo portano via, - ma quando lo Stato ha avuto la sua occasione per arrestare quel criminale (il riferimento, ovvio, è a Ndreca: ndr), nessuno ha mosso un dito».
Una vita distrutta, quella degli Onichini. Costretti a cambiare casa, a trasferirsi in provincia di Venezia («lì non riuscivamo eppure a chiudere occhio, troppa paura», si sfoga Sara sulle pagine locali del Corsera), a reinventarsi. Ma sempre con quel fardello, le parcelle dei legali da una partee le spese processuali dall'altra. Sabato prossimo, alle 20, fuori dal casermone del carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia, dove è stato trasferito Onichini poche ore dopo l'arresto, è già stato indetto un flash-mob di solidarietà.
«Vogliamo mandare un messaggio a Walter, dirgli che noi siamo qui, siamo con lui e non molleremo», sostengono gli organizzatori: «Lo hanno strappato alla sua famiglia, è un padre, un lavoratore onestoo». Anche l'albanese che voleva rubargli l'alto avrebbe dovuto farsi tre anni di prigione. Ma di lui se ne sono perse le tracce. Ha fatto giusto in tempo a richiedere un risarcimento di oltre 300mila euro.