Andrea Galli per il "Corriere della Sera"
Bloccata alle spalle, ferita, violentata. Poi alle 22 di venerdì il treno regionale numero 12085 della tratta Milano Cadorna-Varese Nord è entrato nella stazione di Venegono Inferiore. A bordo, pochi passeggeri: fra loro, la 21enne italiana che prima dell'agguato era al cellulare con il papà, e i predatori sessuali Gregory Anthony Fusi Mantegazza e Hamza Elayar. La ragazza ha resistito: «Lottavo» ha ripetuto alla polizia ferroviaria.
Di più. Le prime carte dell'inchiesta riassunte nel provvedimento di fermo del sostituto procuratore di Varese Lorenza Dalla Palma, e lette dal Corriere , non possono infatti che ripartire da lei, dalla sua forza, dalla sua rara capacità comunque di non cedere, nell'orrore, all'angoscia: «Approfittando del treno che si era fermato, ho provato ad avvicinarmi alla porta, ma quello mi stava sempre vicino... Credevo che avrei potuto attirare l'attenzione dei passanti cui chiedere aiuto, e ricordavo che alla fermata precedente avevo visto il controllore... speravo di trovarlo...».
I passanti, forse isolati dagli auricolari del telefonino, forse di fretta, forse traditi dal buio, oppure forse vigliaccamente timorosi - la giovane era di fatto priva di vestiti e i due la tenevano prigioniera - hanno proseguito; quanto al controllore, era lontano. Fusi Mantegazza (italiano di 21 anni) ed Elayar (marocchino irregolare di 27), poi arrestati dai carabinieri del Comando provinciale grazie a una pattuglia e alla cura dei dettagli, hanno proseguito la violenza e, servendosi della sosta nello scalo, se ne sono andati. Verso la seconda vittima. Hanno percorso il sottopasso, sono sbucati all'altezza del binario 1 al cui lato sorge la sala d'attesa.
All'interno, c'era un'altra ventenne. Che si è invece salvata così: «Ad un certo punto è entrato un ragazzo... Aveva una bicicletta. Si è avvicinato. Mi ha chiesto informazioni rispetto a un treno, gli ho risposto, è uscito. Dopo circa dieci minuti, è rientrato e ha ricominciato un dialogo. Gli ho detto che non volevo parlare e l'ho invitato ad allontanarsi. Sì, sono in grado di descriverlo: meno di trent' anni, barba incolta, marocchino sicuramente, pelle chiara, occhi scuri, magro ma piazzato, aveva un cappello di lana tipo cuffia, non scuro ma credo blu chiaro, alto forse un metro e ottanta/ottantacinque. Puzzava di birra. Vestiva un giubbotto scuro». L'identikit di Elayar.
«Il ragazzo è rientrato un'altra volta, si è seduto... È entrato anche il suo amico... Mi hanno aggredita... Mi sono aggrappata alla porta, nel tentativo di riuscire a fuggire, e ho cercato di aprirla, urlando. Sono riuscita ad aprire sufficientemente il battente della porta, quando abbiamo notato un uomo che stava arrivando verso la stazione...». Un altro passante. «Il ragazzo, visto l'uomo, si è staccato e ho pensato di allontanarmi... A quell'uomo non è importato nulla di quello che accadeva, anche se urlavo... L'aggressore si è diretto verso l'amico, ho guadagnato l'esterno della stazione, ho chiamato il 112...».
I violentatori hanno raggiunto la casa di un sudamericano, in un alloggio disastrato. Un vicino racconta di averli visti rientrare di fretta, la sera di venerdì, con andatura storta, affannati: «Ubriachi marci». Una notte dopo, hanno partecipato con altri nordafricani a un festino. Urla, litigi, bottiglie di birra contro le pareti. Quel vicino ha chiesto l'intervento delle forze dell'ordine. La pattuglia dei carabinieri ha notato un particolare: i predatori avevano abiti diversi tranne le scarpe. Anonime scarpe da tennis. Le stesse scarpe descritte dalle vittime.