Alessia Marani per ilmessaggero.it
Rosella Di Giuseppe, la dirigente dell'istituto scolastico Rousseau di Roma, ha gli occhi che si fanno lucidi quando parla di Luca (è un nome di fantasia) il diciassettenne che nel luglio del 2019 si tolse la vita nel garage di casa, istigato, ipotizza la Procura capitolina, dal comportamento persecutorio di un docente di matematica nei suoi confronti. Vicino a lei c'è anche la responsabile dei docenti di sostegno, Daniela Fasolo.
Preside la famiglia accusa la scuola di non avere impedito la tragedia.
«Il 12 luglio, il giorno dopo la morte del ragazzo, i genitori si presentarono qui con un avvocato. Mi parlarono di una nota messa dall'insegnante al figlio, non ne sapevo nulla. Mi chiesero di farla togliere immediatamente e mi intimarono di mantenere il massimo riserbo sulla vicenda. Io ero sotto choc. Tra quella nota redatta l'ultimo giorno di scuola e il suicidio era passato più di un mese e quell'insegnante aveva solo 2 ore alla settimana con la classe del ragazzo».
La famiglia sostiene di averla informata con una email.
«Il 6 o 7 giugno la mamma mi mandò un'email in cui mi parlò di scaramucce tra il figlio e il docente che non comprendeva la problematica del ragazzo. Io allora convocai il professore che mi disse che c'era stato un equivoco, lo pregai di chiamare la famiglia e di chiarirsi. Tre mesi prima dovetti già chiedergli spiegazioni per un altro episodio che mi segnalarono i docenti. Si presentò agli scrutini trasformando il 4 messo all'interrogazione in 6. Non fece menzione ad alcuna nota. Pensai che il chiarimento ci fosse stato».
Pensa ci sia davvero un nesso di responsabilità tra la scuola e il suicidio del ragazzo?
«Luca era uno studente molto seguito, non solo dalla famiglia, ma anche dalla nostra referente per i Dsa, i disturbi dell'apprendimento dal momento che il ragazzo era dislessico (una difficoltà nella lettura per cui non c'è bisogno del sostegno ma di una didattica calibrata, ndr), sapevo che questa insegnante era in continuo contatto con la mamma, tanto che l'anno prima avevo ricevuto dalla signora una email di apprezzamento.
Luca andava bene a scuola, era stato sempre promosso senza debiti formativi, risultava ben integrato, non c'erano segnali che lasciassero presagire una tragedia simile. Mi lasci dire che screzi tra insegnanti e alunni, a volte anche tra genitori e docenti, in una scuola sono all'ordine del giorno. Per quanto mi compete sono sempre intervenuta. Ma i ragazzi non vivono solo di scuola, c'è un mondo al di fuori intorno a loro che non conosciamo. Non mi sento di gettare croci addosso a nessuno».
I genitori del ragazzo, però, sono indignati perché il professore, ripresa la scuola, era sempre al suo posto...
«Dopo il suicidio ho inviato il docente all'esame della collegiale medica dell'Inps. Non sono io che posso rimuovere un professore dall'incarico, non ho questo potere, non sono un datore di lavoro».
E cosa stabilì la commissione?
«Mi aspettavo che desse un parere di inidoneità, invece si pronunciò solo per una visita di revisione. Ci fu anche una ispezione ministeriale sulla vicenda di Luca, ma l'ispettore archiviò il caso poiché ritenne che fossero stati adottati tutti i provvedimenti necessari dalla scuola».
Quindi, il professore continuò a insegnare?
«In realtà era ormai a un passo dalla pensione. Nell'ultimo periodo non ci parlai più di tanto, quando l'Ufficio Scolastico Regionale ci chiamò per avere spiegazioni, ci incrociammo e salutammo educatamente per le scale. Ma poi, di fatto, dal 4 marzo con il lockdown la sua attività cessò».
Che vuole dire?
«Che il docente, 68 anni, un insegnante vecchio stampo, non aveva dimestichezza con i telefonini e i computer, ci fece dannare per rintracciarlo e non fu in grado di attivare la Dad, la didattica a distanza. Quando si ritirò non ci fu nemmeno un saluto con i colleghi. Questa è una vicenda umana dolorosa e complessa sotto molti aspetti».