Igor Pellicciari per Dagospia
Maestro Dagovski,
è rischioso scrivere di vicende russe durante questa maledetta guerra; oggetto di una copertura mediatica senza precedenti e ciononostante (o forse proprio per questo) scarna di notizie certe su quanto avviene realmente sul campo di battaglia.
Ad un anno e mezzo dall’invasione militare russa che (prima) nessuno ha previsto e che (poi) tutti hanno commentato in ordine sparso - siamo rimasti incartati in un paradosso dell’infotainment bulimico h24: più si parla del “come” della guerra, meno se ne comprende il “perché”.
I programmi di approfondimento hanno ricalcato ritmi lenti e auto-referenzialità dei talk con ospiti-juke box a gettone; invitati non perché esperti, ma esperti perché invitati. E’ un format che si è trascinato stancamente e che resiste ancora grazie ai limitati costi di produzione e ad uno zoccolo duro di audience presente per inerzia, di quelli che tu da tempo hai tumulato nel crudele neologismo di “telemorenti”.
Questo loop continuo di giri di parole a vuoto, ha generato nell’opinione pubblica un crescente senso di ansia mista a frustrazione per l’incapacità di trovarvi un’indicazione che risponda alla madre di tutte le domande e paure, ovvero quanto è destinato a durare questo conflitto. Nel mentre, si è diffuso nei media un clima intossicato da narrative di guerra, che ha condizionato a monte qualsiasi analisi degli avvenimenti collegati, in particolare se inaspettati e clamorosi.
Come nel caso dell’attentato a Yevgeny Prigozhin; ennesimo episodio non sorprendente (perché dato per possibile) ma che infine ha colto tutti di sorpresa (per gli improbabili tempi e modi con cui si è avverato).
Che il capo del Gruppo Wagner potesse venire eliminato anzitempo come era accaduto in precedenza ad altri leader para-militari nei Balcani Occidentali - è stata una opzione messa in preventivo, ben prima della sua ribellione nei confronti di Mosca. Nessuno però aveva immaginato che ciò potesse avvenire così presto e con una dinamica degna della trama di un film di intrigo internazionale.
PUTIN APPRENDE DELLA MORTE DI PRIGOZHIN - MEME DI OSHO
Il punto è che nell’infotaiment nostrano stanno girando ipotesi sul significato e sulle conseguenze che avrebbe l’intera parabola di ascesa e caduta in disgrazia del Gruppo Wagner, che non reggono alla luce delle complesse dinamiche di potere interne al Cremlino.
In altre parole, più che in chiave geo-politica (lettura utile, ma oramai abusata) l’intera vicenda va ricondotta ad una dimensione politica interna russa iniziata da ben prima della guerra in Ucraina.
Continuare a raffigurare la Russia come una Putinlandia dove decide tutto uno Zar al comando è un modo per un certo mainstream di gettare la palla in tribuna ed evitare di affrontare una complessità che va studiata per poterla analizzare. Di certo, optare per questa scorciatoia dello Zar/uomo solo al comando semplifica la vita ma spiega anche perché sono decenni che l’Occidente fatica a prevedere gli avvenimenti al Cremlino, prendendone atto il giorno dopo che sono avvenuti.
E’ sorprendente come le conclusioni cui si arriva seguendo la prospettiva della politica interna russa siano radicalmente diverse, opposte a quelle occidentali.
Mi limiterei qui, Maestro Dagovski, ad indicarti solo le divergenze più clamorose.
LE MASCHERE DI PRIGOZHIN E PUTIN
1)Suggerire che Putin sia il mandante dell’attentato a Prigozhin è una ipotesi completamente fuori strada, per considerazioni di ordine politico-istituzionale. La principale rimanda alla struttura di potere a Mosca di cui Putin è espressione e punto di sintesi, garante di un equilibrio tra gruppi di potere interni in competizione dinamica tra di loro.
Con gli anni, questi gruppi hanno coinciso sempre più con settori della funzione pubblica, marginalizzando gli oligarchi, che hanno mantenuto ricchezze ma perso il potere politico degli anni novanta. Dai conflitti in Siria ed in Ucraina è invece cresciuta l’influenza dei militari, con i quali Prigozhin si è scontrato sia politicamente (con continue critiche feroci che, si badi, non hanno mai sfiorato Putin) sia strutturalmente, crescendo a dismisura come un anomalo contractor para-statale estraneo alla cultura militare russa e costante spina nel fianco dell’esercito.
VLADIMIR PUTIN E EVGENIJ PRIGOZHIN - VIGNETTA
2)Se rimuovere Prigozhin poteva avere un senso per i militari, per Putin questa era una opzione senza senso, anzi dannosa. La motivazione del Presidente russo che avrebbe agito mosso da desiderio di “vendetta” passerebbe difficilmente nella trama di House of Cards, figurarsi nel mondo reale e a questi livelli politici. Con una guerra in corso e decine di variabili da tenere sotto controllo, agire emotivamente per un non meglio precisato desiderio di rivalsa personale sarebbe stata una follia pura, che avrebbe di certo indebolito la fiducia in Putin del cerchio dei suoi collaboratori più ristretti.
Piuttosto, è credibile che nel quadro dei nuovi rapporti di forza, i militari abbiano chiesto la rimozione di un Prigozhin, uomo rozzo e senza formazione politica, sfuggito di controllo e spintosi oltre la linea del tollerabile e che Putin abbia dovuto cedere su questo punto.
VLADIMIR PUTIN E EVGENIJ PRIGOZHIN - ILLUSTRAZIONE
3)E’ inutile appiattirsi sulla questione se Prigozhin sia realmente morto nell’attentato (o se quanto visto sia stata una finzione organizzata da lui stesso per una exit strategy). Ad oggi l’unico dato certo che conta è che Prigozhin è uscito di scena, definitivamente. E che pure il Gruppo Wagner, che il Cremlino aveva comprensibilmente cercato di salvare in un primo momento, verrà sciolta.
VLADIMIR PUTIN CON EVGENIJ PRIGOZHIN
4)Della fine di Prigozhin e del suo contractor para-statale, Putin di certo non si è rafforzato, come hanno scritto alcuni commentatori nostrani. In primo luogo per l’importanza del Gruppo Wagner come strumento nelle mani della leadership civile del Cremlino nel periodo di massima espansione della politica estera russa.
In secondo luogo, perché rimettere in piedi qualcosa di simile a Wagner (magari riorganizzando la Rosgarda -la Guardia Nazionale sotto il diretto comando del Presidente) non sarà né facile ne veloce in tempo di guerra.
In terzo luogo perché Wagner è di fatto stata una creatura di Putin e si è potuta sviluppare per il sostegno personale garantito a Prigozhin, da tutti considerato un uomo operativo del Presidente. Per una delle regole universali non scritte della politica, il fallimento di un collaboratore scelto in prima persona dal leader, lascia a quest’ultimo delle scorie politiche che ne intaccano comunque l’immagine e non facili da smaltire.
VLADIMIR PUTIN E EVGENIJ PRIGOZHIN - VIGNETTA
Infine, vi è il fatto che in un paese che dà centralità ai settori dello Stato a seconda della priorità di governo del momento, la fine di Wagner, per di più in conseguenza di uno scontro con l’Armija Rossii, rafforzerà in periodo di guerra il peso dell’élite militare a Mosca rispetto alle altre tre élite dominanti nel ventennio di Putin (intelligence, alta funzione pubblica, diplomatici).
5)Vorrei sbagliarmi, ma quest’ultimo aspetto allontana piuttosto che avvicinare la fine di una guerra gestita con logiche militari prima ancora che politiche.
Come la scelta tattica nell’immediato di sfruttare al massimo l’incombente stagione invernale per la guerra ibrida tanto cara al capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov. Oppure, peggio ancora, il rischio che nel medio periodo quello che è l’agognato accordo di pace duraturo in realtà altro non sia che una tregua più o meno prolungata che al massimo rimandi il conflitto ad un futuro indefinito.
Direi che è tutto per oggi, Maestro
Un abbraccio dalla mia Dubrovnik (benzina a 1,51/litro)
MOSCA CIECA - POSTER BY MACONDO MOSCA A MOSCA - POSTER BY MACONDO IL FALO DI CONFRONTO TRA VLADIMIR PUTIN E EVGENY PRIGOZHIN PRIGOZHIN E PUTIN PUTIN E PRIGOZHIN il volo di evgeny prigozhin atterra a minsk MEME SU PUTIN E PRIGOZHIN BY EMILIANO CARLI