Giuseppe Sarcina per il “Corriere della sera”
Una sola scampanellata. Breve attesa e la donna compare sui gradini all' interno del cancello. È una casetta a un piano, verdastra, protetta da una griglia che si affaccia sull' ingresso buio.
Dentro si intravedono due grandi lavatrici, una caldaia e in un angolo una Vespa bianca fiammante. «Chi è?». Rispondiamo subito «Italia» e soltanto quando è ormai davanti al cancello, tutto il resto. Sembra funzionare: «Buongiorno, sono Leah». È la madre di Finnegan Lee Elder, il diciannovenne americano accusato di aver ucciso il vice brigadiere Mario Cerciello Rega.
«Sono distrutta». È scesa così come si trovava, è evidente.
Indossa una maglia larga a righe, una tuta-pantalone, scarpe basse; i capelli in disordine, raccolti in modo sommario.
Leah Lynn Elder ha 51 anni, fa la consulente nel campo dei trasporti. «Non posso parlare, è tutto così precario, stiamo aspettando le indicazioni del dipartimento di Stato, prima di partire per Roma, forse domani o mercoledì (oggi 31 luglio, ndr )».
La famiglia ha delegato Sean, lo zio di Finnegan, a tenere i rapporti con la stampa. E Sean, che è un giornalista, lo fa in modo cortese e un po' burocratico, spedendo via mail brevi comunicati, come questo: «Stiamo continuando a raccogliere informazioni attraverso gli avvocati, nello stesso tempo siamo grati che Finnegan abbia ricevuto cure mediche.
Come sempre i nostri pensieri vanno alla famiglia e agli amici dell' agente Rega, che hanno subito una perdita inimmaginabile». È un sentimento sincero: prima di rientrare nella sua abitazione, gli occhi azzurri di Leah si riempiono di lacrime quando parliamo del carabiniere accoltellato. Resta in silenzio, interdetta, smarrita, mentre ripercorriamo tutto quello che è stato detto e scritto su suo figlio: «violento», «drogato», «assassino».
Nel suo sguardo si accende, invece, una piccola luce non appena la conversazione tocca la foto che ritrae l' altro ragazzo, Gabriel Natale Hjorth, ammanettato e bendato nel commissariato. «Ma non dico niente, davvero la situazione è così precaria».
Leah risale e rimaniamo da soli, in questo pomeriggio (è lunedì 29 luglio), in una strada a saliscendi incredibilmente deserta. Il Sunset District è un quartiere residenziale, con tante «townhouse» carine, ma certamente non sfarzose. Ci vive gente che lavora giù nel distretto finanziario oppure fuori città, nella Silicon Valley.
Il pensiero torna all' immagine del giovane bendato che tv e quotidiani locali continuano a trasmettere e a pubblicare da giorni. Non è difficile fare due più due, mettendo insieme il riferimento di Sean «ai legali» e lo sguardo di Leah, e verificare un semplice ragionamento con altre persone che stanno seguendo il caso. «The Elders» (così Sean firma le sue note) si stanno aggrappando a questo grave incidente con la forza della disperazione e con la speranza, umanamente comprensibile, di aiutare in qualche modo il figlio incriminato, nei guai e di quelli seri. Questo è lo stato d' animo, l' istinto della famiglia. Saranno gli avvocati a decidere come e che cosa fare: chiedere di invalidare la confessione del giovane? Spingere per l' estradizione negli Stati Uniti?
Certo è che il precedente di Amanda Knox, la studentessa americana condannata e quindi assolta in Cassazione per l' omicidio di Meredith Kercher, ritorna in modo più o meno esplicito. Non importa se si gira per il Sunset oppure se si va oltre il ponte del Golden Gate, tra i villoni della Mill Valley dove vivono i genitori, separati, di Gabriel Natale Hjorth.
Non importa se si chiacchiera con Debrah Kamper, una signora che aspetta che la sua bambina di dieci anni esca dalla vasca olimpionica della Tamalpais High School, il liceo pubblico, frequentato da Finnegan e Gabriel. Oppure se si scambia qualche parola con Terry McSweeney, anchor della Nbc per la Bay Area. Cominciano tutti nello stesso modo: «È una tragedia, qui siamo profondamente scossi». Ma poi arriva la domanda: «Ci possiamo fidare dei "policemen", dei giudici italiani?».
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