Paolo Mastrolilli per "la Stampa"
Facebook ha fatto bene a bandire Trump, ma la punizione a tempo indeterminato non è appropriata. Perciò il divieto resta, ma Zuckerberg dovrà rivederlo entro la scadenza di sei mesi. La decisione annunciata ieri dall' Oversight Board di Menlo Park ha subito riacceso la polemica sul ruolo dei social nelle democrazie, inclusa una reazione furiosa di Donald, che conferma perché il bando era giusto e dovrebbe continuare.
Trump aveva sempre usato magistralmente Twitter, Facebook e le altre piattaforme per fare campagna elettorale, attaccare gli avversari, e diffondere la propaganda una volta entrato alla Casa Bianca. Così aggirava i media tradizionali, che facevano poi da cassa di risonanza, riportando i suoi messaggi. I social erano stati accusati di complicità e di tollerare le bugie, soprattutto Zuckerberg che era stato anche a cena da Trump, perché la sua popolarità attirava pubblicità e loro non volevano fare gli arbitri della verità. Fino al 6 gennaio, quando l' assalto al Congresso li aveva obbligati ad agire.
Twitter aveva chiuso in maniera permanente il suo account con 88 milioni di seguaci, così come Snapchat e Twitch. Facebook invece aveva bloccato a tempo indeterminato l' accesso alla pagina, e ai suoi 35 milioni di follower, senza però escludere di riammetterlo, come Instagram e YouTube. Menlo Park aveva poi passato la patata bollente al suo Oversight Board, ossia la «Corte Suprema» composta da 20 giudici esterni, che ha l' incarico di dirimere le dispute etiche.
Ieri la commissione ha emesso il verdetto. Il bando era «giustificato», perché i messaggi del 6 gennaio con cui Trump aveva definito gli assalitori del Congresso «patrioti», aveva detto di amarli, e li aveva sollecitati a «non dimenticare mai questa giornata», violavano la politica di Facebook che vieta di incitare o sostenere la violenza. La sospensione indeterminata però «è inappropriata», in assenza di un processo preciso per determinarla, e la richiesta al Board di risolvere il problema è uno scarico di responsabilità. Perciò la «Corte Suprema» ha confermato il bando, ma ha chiesto a Menlo Park di rivederlo alla scadenza dei sei mesi, per stabilire se confermarlo, come e perché.
Trump ha reagito col fuoco: «Ciò che Facebook, Twitter e Google hanno fatto è una totale disgrazia e un imbarazzo per il nostro Paese.
La libertà di parola è stata tolta al presidente, perché i lunatici della sinistra radicale hanno paura della verità. Queste corrotte compagnie dei social media devono pagare un prezzo politico, e non avere mai più la possibilità di distruggere e decimare il nostro processo elettorale».
Così Donald ha ripetuto le bugie sul voto che avevano incitato le violenze, confermando che se il bando fosse eliminato tornerebbe a violare le regole di Facebook. Ora toccherà a Zuckerberg decidere, ma intanto si pongono problemi etici e politici immediati. Il primo è il ruolo dei social, stretti fra soldi, libertà di espressione e i politici che li usano per propagare falsità.
Il secondo è che Trump ha bisogno di Facebook, non solo per fare propaganda, ma anche per raccogliere i fondi necessari all' eventuale candidatura nel 2024. Non è su Parler o Gab, e ieri ha annunciato la sua piattaforma «From the Desk of Donald J Trump», che però è poco più di un blog. Minaccia di creare un social, ma fino a quando non lo avrà resterà azzoppato.
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