Estratto dell’articolo di Giuseppe Scarpa per “la Repubblica – Roma”
«Sono una morta che cammina. Lui mi ha promesso che mi decapiterà, che mi butterà addosso l’acido o mi darà fuoco e lo farà. Se nessuno interviene lo farà. Per favore aiutatemi, lancio un appello prima della mia tragedia».
Cristina è nel panico più totale. «Mi ucciderà», ripete scuotendo la testa. Seduta a un tavolino di un bar nel centro di Roma racconta la sua storia. Trattiene a fatica le lacrime, accanto a lei il suo avvocato, Diego Perugini cerca di calmarla. «Ho riempito la mia auto di bottiglie d’acqua e quando mi darà fuoco mi getterò subito l’acqua addosso. Così forse mi potrò salvare».
Cristina è vittima di un blackout giudiziario: l’uomo che nell’autunno del 2021 ha tentato di stuprarla e che l’ha perseguitata per mesi adesso è libero, si chiama Sukhvinder Singh, ha 36 anni ed è di origine indiana. Ad aprile ha finito di scontare la sua pena, un anno e mezzo di carcere a Rebibbia per violenza sessuale e stalking. Poi è stato trasferito in un Cpa, Centro di prima accoglienza per essere espulso.
Il permesso di soggiorno era scaduto e l’avrebbero dovuto imbarcare su un aereo, biglietto sola andata verso Nuova Delhi. Ma accade qualche cosa di poco chiaro. Prima di tutto dal Cpa Singh a maggio telefona ripetutamente a Cristina e le fa una promessa di morte: «io esco da qui e vengo a tagliarti la testa». Ma soprattutto da quel centro l’uomo, mercoledì, viene liberato. Il legale della vittima, Perugini, viene informalmente avvisato dalle forze dell’ordine: «Singh è uscito».
Cristina andiamo con ordine, chi è Singh?
«Io avevo un locale a Roma, lui era uno dei miei dipendenti».
Come fa a sapere dove vive?
«Il bistrot che gestivo è vicino a casa, qualche volta i prodotti venivano recapitati nel mio appartamento. Allora capitava che uno dei lavoratori mi aiutasse a portarli al ristorante.
Tutto qui».
Singh come si trasforma nel suo aguzzino?
«Aveva il vizio di bere durante il lavoro, il mio socio decide di licenziarlo. Allora Singh mi scrive per cercare di trovare una mediazione per farlo rientrare. Ma in poco tempo il suo atteggiamento cambia. Mi dice che si è innamorato, vuole sposarmi, avere figli e portarmi in India».
A quel punto cosa succede?
«Oppongo un secco rifiuto ma lui insiste: si taglia e con il sangue scrive il suo soprannome (Mannu, ndr) e il mio, condito da cuoricini. Dipinge con queste scritte il muro accanto all’ingresso del palazzo dove vivo, in alcuni biglietti che mi fa trovare vicino alla porta di casa mia. Poi mi bombarda con mille chiamate».
Lei lo denuncia?
«Sì, ma lui viene sotto casa e cerca di violentarmi, urlo e delle persone accorrono. Lui fugge».
L’arrestano?
«Gli danno i domiciliari ma lui mi telefona e mi dice che scapperà per venire da me. Di fatto evade dai domiciliari per venire a cercarmi, ma i carabinieri lo arrestano. Lui di nascosto mi fa una videochiamata appena lo ammanettano e mi fa vedere che ha le manette ai polsi […] Lo condannano a un anno e mezzo, io segno nel calendario la data della sua uscita. Diciotto mesi volano e io so già che lui ritornerà».
Purtroppo, non si sbaglia… «
Sì, perché accade la nuova follia. Dopo aver espiato la condanna lo trasferiscono in un Cpa per rimpatriarlo. […] mi bombarda di chiamate: “ti uccido, ti butto l’acido, ti decapito, ti spezzo le mani”. Io lo denuncio subito».
[…] Teme di trovarselo sotto casa?
«Io ne sono certa, lo ripeto se non lo fermano, lui verrà. Quest’uomo mi ha distrutto la vita, adesso vuole togliermela. Non esco più di casa, io vivo barricata dentro l’appartamento, per buttare la mondezza devo chiedere al vicino di scortarmi. Ma capite che non può andare così all’infinito?» […] «Lui è un fantasma, è regolarmente libero per disposizione di un giudice. Ma è chiaro che è stato compiuto un errore. Nessuno sa dove sia in questo momento […]».
Vuole lanciare un appello?
«Una parte di me […] sa che finirà malissimo […] . Lascio in ordine il mio appartamento sapendo che se mi ucciderà a casa ho lasciato tutto a posto. L’altra parte di me lotta con tutte le forze per non soccombere […]».
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