Estratto dell’articolo di Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
Chi vince e chi perde in Medio Oriente?
«Perde senza dubbio l’Iran, almeno per ora», risponde Gilles Kepel. Lo storico e politologo francese riflette sullo sconvolgimento negli equilibri regionali.
Il motivo?
«Il regime degli ayatollah aveva inizialmente creato Hezbollah come un baluardo per proteggere i suoi siti nucleari da un eventuale attacco americano. Il ragionamento era che Hezbollah avrebbe potuto reagire bombardando Israele dal Libano. Ma questa strategia del ricatto è stata stravolta dal terribile pogrom lanciato da Hamas il 7 ottobre 2023».
I LEADER DI HEZBOLLAH ELIMINATI DA ISRAELE
In che senso?
«Yahya Sinwar da Gaza aveva deciso di attaccare Israele in modo del tutto indipendente da Iran e Hezbollah, ma così facendo ha imposto ai suoi padrini-alleati una escalation dello scontro che loro non erano in grado di controllare. I 1.200 morti provocati da Hamas hanno disinibito Israele. Netanyahu è stato pronto a sacrificare la vita degli ostaggi […] pur di privilegiare l’operazione militare su Gaza e poi lanciare questi ultimi blitz sul Libano, che hanno ucciso Nasrallah e decapitato Hezbollah, e infine l’invasione di terra. Il risultato diventa che l’Iran ha perso la sua protezione, si trova in prima linea contro Israele».
ali khamenei con in mano un fucile prega per nasrallah a teheran
Ha senso paragonare il settembre 2024 alla strepitosa vittoria israeliana del giugno 1967?
«Sì, oltretutto siamo nel periodo delle feste del Capodanno ebraico. Nella memoria degli israeliani il Kippur ha il sapore amaro dell’aggressione a sorpresa araba nel 1973. Oggi Netanyahu può presentarsi come il leader capace di ridare la gioia della festa al suo popolo: si celebra il kippur della vittoria. In questo modo Netanyahu si lava anche delle sue responsabilità per la sconfitta del 7 ottobre. Un anno fa era fallita la sua strategia di lasciare crescere Hamas pur di affossare l’Olp e le speranze di pace fondate sulla nascita dello Stato palestinese. Adesso si gode la sua rivincita […]».
l appello agli iraniani di benjamin netanyahu
[…] «Siamo a una svolta in Medio Oriente. Il cosiddetto “Asse della Resistenza” — Iran, Hezbollah, Houthi in Yemen, regime siriano, Iraq sciita — è marginalizzato. I suoi dirigenti sono deboli, anche perché la Russia loro alleata si dimostra una potenza molto meno forte di quanto volesse farci credere Putin […]».
E la Cina?
«Pechino coltiva buoni rapporti con regimi che possono interferire nelle politiche americane e questo vale anche nel Medio Oriente. Ma va ricordato che Nasrallah attese tre settimane prima di parlare in pubblico a Beirut dopo il 7 ottobre e fece capire che non intendeva entrare in una spirale di scontro diretto con Israele. Venne così delegato agli Houthi di sparare contro le navi dirette ai porti israeliani.
Ma gli Houthi, zelanti e sempliciotti, hanno attaccato tutto il traffico marittimo verso Suez. Il risultato è stato paralizzare la Via della Seta del regime mercantile cinese, che privilegia sopra ogni cosa i suoi interessi commerciali. La rabbia cinese contro gli alleati iraniani si è poi tradotta nella scelta di bloccare l’import del greggio da Teheran per privilegiare quello russo. I cinesi hanno persino riconosciuto la sovranità degli Emirati su tre isole contese a Teheran nel Golfo Persico. In sintesi: l’Asse della Resistenza iraniano è ormai privo di alleati forti. Ma c’è un dato ancora più importante».
Cioè?
«[…] Lo stato maggiore dei pasdaran pensa che il fanatismo religioso di Ali Khamenei e dell’ex presidente Ebrahim Raisi sia stato catastrofico per il Paese. Credo che molti di loro oggi vogliano un cambiamento radicale. Non ho prove dirette, ma valuto siano i tre assassini eccellenti degli ultimi tempi a puntellare questa tesi: la morte di Raisi, che non credo sia un incidente di elicottero; la bomba contro il leader politico di Hamas a Teheran, Ismail Haniyeh, e infine Nasrallah. […] tanti ritengono che tutti e tre siano stati eliminati con il coinvolgimento di alcuni settori negli ambienti dei pasdaran, che adesso vorrebbero un Gorbaciov iraniano».
La grande novità resta la guerra aperta tra Iran e Israele…
«Israele spera di poter contribuire al crollo della teocrazia degli ayatollah. Il malcontento interno iraniano è diffuso, anche tra le classi medie che prima sostenevano il regime. […]».
Cambia la dinamica dello scontro sciiti-sunniti?
«In parte sì. Larghi settori del mondo sunnita, con l’Arabia Saudita in testa, sarebbero pronti a convivere con Israele: ma il problema resta il rifiuto del governo Netanyahu a riconoscere uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza. Il premier saudita Mohammed bin Salman mi ha spiegato di non avere nulla contro l’esistenza di Israele. […] però occorre che si torni alla formula della pace in cambio della terra. Anche per questo i sunniti del Golfo non hanno sostenuto Hamas un anno fa e oggi non piangono per la morte di Nasrallah. L’eventualità di un Iran meno pan-sciita e invece più legato al nazionalismo persico apre a nuove ipotesi di cooperazione pacifica tra sunniti e sciiti». […]
MANIFESTAZIONI PER NASRALLAH IN LIBANO