Francesca Sforza per “La Stampa”
Sull'onda della vittoria strategica ottenuta a Kherson, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è rivolto ieri ai Paesi del G20 riuniti a Bali - polemicamente da lui definiti «del G19», escludendo cioè la Russia - con un discorso di importanza cruciale per le sorti della guerra.
Nella sua personale road map in dieci punti - non ancora negoziata, ma frutto di una sintesi piuttosto articolata - si possono individuare due registri, quello dei toni e quello dei contenuti, il primo indirizzato alla sua opinione pubblica e a quella russa, l'altro rivolto alla comunità internazionale.
VOLODYMYR ZELENSKY IN COLLEGAMENTO CON IL G20 DI BALI
In linea con lo standing da comandante in capo, Zelensky ha scelto un linguaggio diretto, imperioso, non solo perché sta vincendo sul campo e dunque per tenere alto il morale dell'esercito e dei civili, ma anche per mostrare alla Russia quanto non sia disposto, in nessun modo, a piegarsi ad alcun diktat («Con i russi bisogna usare il linguaggio della forza, è l'unico che capiscono», ha detto più volte).
Anche quando sembra più intransigente, però, Zelensky non smette di essere strategico: sa che qualsiasi concessione verrà interpretata come segno di debolezza, e dunque non concede. Sa che non è il momento di farsi vedere disponibili ad aperture, pena il discredito, e dunque non apre. Tuttavia -stila un elenco che ha tutte le caratteristiche di una bozza e invita i grandi della terra a prendere in esame «le soluzioni che possono essere implementate per garantire davvero la pace».
I dieci punti
Vediamoli, nell'ordine in cui Zelensky li ha indicati. I primi tre sono relativi alla sicurezza e contengono il messaggio che se l'Ucraina è al sicuro, tutto il mondo sarà più sicuro: fondamentale dunque «garantire la sicurezza nucleare» con l'invio di missioni Iaea sugli impianti nucleari ucraini; «sostenere la sicurezza alimentare» potenziando il trasporto via mare sul modello di quanto avvenuto grazie alla mediazione di Onu e Turchia; «investire nella sicurezza energetica» sia per depotenziarne l'uso che possono farne i russi, sia per dare modo all'Ucraina di rientrare in possesso delle proprie infrastrutture.
Il quarto, il quinto e il sesto punto sono quelli più scottanti e che hanno fatto dire al portavoce del Cremlino Dmitri Peskov che «l'Ucraina non ha alcuna voglia di negoziare». Si tratta infatti del rilascio di tutti i prigionieri e deportati (si parla di oltre diecimila bambini), del ripristino dell'integrità territoriale dell'Ucraina secondo il quadro di riferimento tracciato dalle risoluzioni delle Nazioni Unite (ce ne sono diverse: le più recenti comprendono le regioni di Kherson, Donetsk, Lugansk e Zaporizhzhia, ma la 68/262 comprende anche la Crimea e Sebastopoli) e del ritiro delle truppe russe con conseguente cessazione delle ostilità.
Dmitrij Peskov e vladimir putin
Gli ultimi tre invocano il ripristino della giustizia, con la formazione di un tribunale speciale internazionale e la messa in opera di meccanismi di compensazione dei danni; la tutela dell'ambiente devastato dagli ecocidi su tutto il territorio; l'istituzione di forze di controllo (sul modello del Kyiv Security Compact) che siano in grado di prevenire nuove escalation. Solo in presenza di sforzi che mostrino la reale volontà di implementazione dei punti precedenti si arriva al punto dieci: la firma di un documento che sancisca la fine della guerra.
La sindrome di Minsk
volodymyr zelensky antony blinken
In particolare per quanto riguarda i temi della sicurezza e la volontà di prevenire nuove escalation, Zelensky ha mostrato tutta la sua opposizione alla ripresa di negoziati che si ispirino agli accordi di Minsk. Quegli accordi rappresentano per il presidente ucraino l'inizio della fine: dovevano fermare la guerra nel Donbass già nel 2014 e invece si sono trasformati in quella palude da cui poi si è generata l'invasione di febbraio. Ogni accordo che si strutturi su quei principi - di gradualità, di progressivo disarmo, di politica dei piccoli passi - è considerato dall'amministrazione ucraina fumo negli occhi.
L'internazionalizzazione
Molto avvertito, da parte di Zelensky, inserire continui richiami al coinvolgimento di Paesi terzi, in modo da evitare di trovarsi impelagati in bilaterali impossibili. Fare riferimento alle azioni di mediazione della Turchia per sbloccare il trasporto del grano, alle risoluzioni Onu per garantire l'integrità territoriale, ai formati multipli per assicurarsi alleanze militari e cooperazioni civili ha il doppio scopo di responsabilizzare la comunità internazionale e di agitare davanti alla Russia il fantasma di un isolamento senza riscatto. Ogni dossier va trattato sotto ombrelli internazionali: in nessuno dei punti elencati Zelensky ha infatti previsto un forum a due. Mai trovarsi da soli senza testimoni, è il messaggio di fondo.
valery gerasimov, dmitry peskov e yuri ushakov zelensky a kherson 1 volodymyr zelensky antony blinken