quirino conti per dagospia
Ci si era appena acclimatati all’ipertermia generata dal gran vuoto inguinale ostentato dall’estetizzante Achille Lauro a Sanremo – a volte sembra sia trascorsa un’eternità –, quando anche il suo Schiaparelli di riferimento (Alessandro Michele) lanciava all’improvviso la sua personale, indifferibile autocastrazione.
Evirandosi ufficialmente di un numero rilevante di seconde linee Gucci e relativi megashow. Insomma, come il suo speculare rapper, un autentico colpo di pialla proprio lì dove risiedeva la maggior gloria del suo privato, esibito Stupor Mundi(un numero incalcolabile di idee, progetti, prodotti e presentazioni programmate a ritmo asfissiante).
E come il primo comprimeva fino al totale ridimensionamento quel che è stato spesso esaltato da un palco come il più rilevante motivo di orgoglio rock (Mick Jagger per sempre docet), così il secondo spargeva cenere penitenziale sulla sua inesausta creatività riducendo la vanagloria delle sue apparizioni (nel transfert simili a un concerto) a due soli appuntamenti annuali.
A prima vista, amputazione estetica per entrambi: ma poi, a rifletterci, un vero, mesto segno dei tempi. E se il Farinelli sanremese aveva immolato luttuosamente il proprio bellocon un anticipo sul virus quasi profetico, il suo simmetrico nello Stile, datando il proprio proclama di autoriduzione al 3 maggio, velava di grandiose motivazioni ideali una dura necessità che ovunque, purtroppo, si è costretti a chiamare con il suo vero nome: “Disastro Commerciale causa Pandemia”.
harry styles e alessandro michele di gucci versione gender fluid
Ora, se Lauro cerca di arginare la ineluttabile, tipica noia post-shock voyeuristico lanciando un libro di introspezioni autobiografiche (reclamizzato senza requie e già ai primi posti nella classifica dei libri più venduti), Michele, nel suo piccolo, lo fa evocando per il suo futuro professionale addirittura temi e terminologie estratti dal più colto linguaggio della scrittura musicale.
Con“capitoli irregolari, impertinenti e profondamente liberi”. Che scriverà “mescolando le regole e i generi”, nutrendoli di “nuovi spazi, codici linguistici e piattaforme comunicative”(non più, dunque, sfilate ma sinfonie, rapsodie, madrigali, ouverture, minuetti).
Da più parti ci si è chiesto allora se questa sua concettosa comunicazione su Instagram dovesse essere considerata un semplice cantar maggio da isolamento forzato o unassoload libitum. C’è stato chi ha detto con cautela che si trattava soltanto di uno di quei tipici bouffonsitaliani, altri di una burlesca.
E se – continuando nello stesso gioco di Michele – fosse stato soltanto un capriccio? Oppure una cavatina, un’antifona, per poi procedere adagio con un andanteo un andantino?
Per alcuni non era che un concertato, per altri un contrappunto(a una sola voce, con molti coulé e qualche doublé). Per i più pessimisti (drasticamente), unDe profundis. E per qualcuno, infine: “Non è stata che la spontanea emissionedi un’aria, di un’arietta”. “E se per arpeggione poi, che sonata: dodecafonica!” (La rete, si sa, gongola delle più efferate volgarità.)
Dunque, per il nostro imminente domani, letteratura contemplativa per un rapper cantautore e accademie musicali per uno stilista: laddove prosperavano un tempo con naturalezza lascivia e ragioni commerciali.
Davvero, chi li fa poi li accoppia! Raramente, infatti, si era assistito alla darwiniana evoluzione di due talenti tanto affini e concordanti.
Cosicché, se l’Achille imbronciato si segnala ormai come uno dei più ambigui modelli della letteratura neodecadentista (otre che profondo conoscitore di un testo prezioso e raffinato come il Libro d’Ore), il Magno Alessandro, con i suoi “Appunti dal Silenzio”, si prodiga in editti rétro da solerte post-postmoderno musicale.
Sarebbe un peccato, allora, non ricordare l’ammonimento gridato a suo tempo dal possente Bruno Zevi: “Il post-modern è di per sé una tragedia. Diventerà una vera catastrofe quando verrà praticato dai geometri”. Dio non voglia, dilettantescamente, da cantanti e stilisti.
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