Francesco Moscatelli per “la Stampa”
È evaso sabato 12 marzo dal cimitero di Brenzio, una frazione di Gravedona ed Uniti, nell'alto lago di Como. Dopo mesi di richieste, culminati con una protesta sul tetto del carcere del Bassone, aveva finalmente ottenuto il permesso di portare un fiore sulla tomba di sua madre. Una gomitata in faccia a uno dei quattro agenti della polizia penitenziaria che lo aveva accompagnato, un balzo al di là del basso muro di cinta del camposanto e Massimo Riella, 47 anni, dopo pochi minuti era già senza manette e latitante.
Lo stanno cercando da nove giorni: si è alzato in volo un elicottero, hanno sguinzagliato i cani molecolari. Niente da fare. In attesa di giudizio con l'accusa di aver rapinato due anziani, precedenti per bracconaggio e porto illegale d'arma da fuoco, il «Petit», perché da queste parti tutti si chiamano ancora per soprannome, è sparito nel luogo a lui più congeniale: i boschi al confine con la Svizzera in cui è cresciuto.
L'Oleandra, la villa di George Clooney, gli hotel di lusso della Tremezzina, e le residenze da 8 milioni di euro sequestrate nei giorni scorsi al giornalista filo-putiniano Vladimir Soloviev, sono a una manciata di chilometri. Ma sembrano lontanissimi. Soprattutto in questi mesi in cui la statale Regina è chiusa per lavori. Fra Dongo, dove i partigiani catturarono il Duce, e Gravedona, hanno tutti le bocche cucite. Un po' perché c'è chi giura che in questi giorni tanti stiano aiutando il Petit, un po' perché molti preferiscono non immischiarsi in questa storia.
Chi conosce Riella lo descrive come una specie di Rambo, alto e mingherlino, «capace di stendere un cervo con un solo colpo di carabina a 300 metri di distanza». Nessuno, in realtà, può dire con certezza se il fuggiasco sia armato. E nemmeno se qualcuno lo stia davvero proteggendo. «In questa terra dove in ogni famiglia c'è stato almeno un contrabbandiere l'omertà fa parte del Dna» racconta un barista, chiedendo di non scrivere il suo nome.
Poi aggiunge: «Dicono che è scappato per trovare i veri colpevoli della rapina, ma le forze dell'ordine hanno delle prove schiaccianti contro di lui». L'unica certezza è che Riella conosce ogni sasso e ogni casolare dei luoghi in cui ha fatto perdere le proprie tracce, e che è abituato a cavarsela in qualunque circostanza.
Sabato, in occasione della festa del papà, la figlia gli ha dedicato un lungo post su Facebook: «Piuttosto che stare in carcere per scontare un'accusa che non gli apparteneva ha preferito evadere e vivere come un fuggitivo - ha scritto la ragazza - . Credetemi che è peggio che stare in carcere. Almeno lì hai un letto caldo, un piatto pronto e delle persone con cui passare la giornata. Invece ora chissà dove ti trovi, al freddo, senza cibo e indumenti puliti». Gli investigatori non hanno dubbi: per trovare il Petit dovranno avere ancora tanta pazienza.