Giordano Stabile per “la Stampa”
Una prima condanna, certo limitata, quasi simbolica, ma destinata a restare nella storia della Tunisia. L'ha ottenuta il movimento globale, #MeToo in un Paese arabo, fra i più evoluti, ma dove maschilismo e patriarcato dominano ancora.
Un deputato condannato a un anno di carcere per «aggressione sessuale», la vittima, studentessa liceale, che l'ha spuntata sui pregiudizi, in una causa che la vedeva opposta a un uomo, potente. Il parlamentare è Zouhair Makhlouf, del partito Qalb Tunis, cioè «Cuore della Tunisia».
Ha cominciato a seguire e molestare una giovane donna, allora diciasettenne nel 2019. Una persecuzione che è culminata con l'esibizione di un atto sessuale davanti alla vittima, all'interno della sua auto. Ma la ragazza non si è limitata a subire. Ha tirato fuori il suo telefonino e ha fotografato il molestatore, poi l'ha denunciato.
In questi due anni il caso è diventato la bandiera del movimento #MeToo. Makhluouf si è prima schermato dietro l'immunità parlamentare. Il presidente Kais Saied ha però «congelato» le immunità dei deputati e il processo ha potuto cominciare. In un primo tempo l'accusa è stata derubricata ad «atti indecenti» ma la sollevazione delle tunisine, con manifestazioni massicce davanti al tribunale e al Parlamento, ha convinto i giudici a ripristinare «l'aggressione sessuale», che nel nuovo codice approvato nel 2017 prevede fino a un anno di carcere.
La difesa ha allora obiettato che l'imputato soffriva di diabete e in quel momento doveva urinare in una bottiglia e per questo si era sbottonato i pantaloni. Una linea che non ha convinto i giudici. Le attiviste del #MeToo, riunite davanti alla corte di Nabeul, a Sud di Tunisi, hanno festeggiato al canto «il mio corpo non è uno spazio pubblico». Una vittoria.
Che segue quella della riforma del codice della famiglia, ora il più avanzato nel mondo arabo e che ha stabilito la parità fra donne e uomini per quanto riguarda divorzio, affidamento dei figli ed eredità. Sono forse questi i frutti migliori del processo di apertura cominciato con la rivoluzione dei gelsomini del 2011.
Il presidente Saied ha anche nominato per la prima volta una donna come primo ministro, Najla Bouden Ramadhane. Non tutti i gelsomini però sono fioriti. Il colpo di mano di Saied, che a luglio ha sospeso il parlamento e ha arrogato a sé anche il potere legislativo e giudiziario, è una ferita alla nascente democrazia. Anche la condanna a Makhluouf, per quanto inappuntabile, va a colpire uno dei suoi avversari, il fondatore del partito Qalb Tunis, il miliardario e mogul dei media Nabil Karoui, avversario di Saied alle presidenziali e adesso in fuga all'estero.
L'alto oppositore principale, il leader del partito islamista Ennahda, Rached Ghannochi, è sotto tiro e forse sarà costretto a dimettersi. Anche i sindacati, bastione della Tunisia laica e protagonisti assieme a Ennahda della cacciata dell'ex raiss Ben Ali, sono sul piede di guerra contro Saied e hanno annunciato uno sciopero generale dopo l'uccisione di un manifestante a Sfax. In un clima cupo per la crisi economica e istituzionale, le vittorie delle donne sono l'unico raggio di sole.
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