Dall’account facebook di Michela Murgia
"Ci è costata troppo e quei soldi finanziano i terroristi."
Nel 2018 - secondo i dati forniti dalla Camera dei Deputati - l'Italia ha venduto nel mondo armi per 4,6 miliardi di euro e molte delle aziende che le producono sono a partecipazione statale. Il primo acquirente delle armi italiane è il Qatar. In ordine di spesa seguono il Pakistan, la Turchia, gli Emirati Arabi, la Germania, gli USA, la Francia, la Spagna, il Regno Unito e l'Egitto.
Cosa significa? Che metà dei paesi a cui vendiamo le armi non sono democrazie, hanno conflitti in corso e finanziano gruppi estremisti fondamentalisti.
Un paese che guadagna 4,6 miliardi di euro in un anno vendendo armi a governi che armano e finanziano il terrorismo può senz'altro permettersi di pagarne 4 milioni per la vita di una cittadina italiana che per di più faceva la cooperante di pace, non la fuciliera o la mercenaria di qualche esercito privato a protezione degli interessi economici italiani negli stati a rischio. Se il problema per cui stanno insultando Silvia Romano è la conversione all'Islam, perché questa gente non se lo mette mai quando facciamo affari con le peggiori teocrazie islamiche del Golfo?
"Poteva aiutare i poveri qui, se aveva tanta voglia di fare volontariato!"
Nel momento peggiore dell'emergenza covid sono arrivate in italia - specificamente in Lombardia - 600 persone tra medici, personale infermieristico e volontari esperti. Venivano da Cina, Russia, Usa, Polonia, Albania, Norvegia, Ucraina e Cuba. Non ho sentito alcun italiano dire "Ma questi non ce li hanno i malati a casa loro da curare?" Li abbiamo invece accolti con gioia e gratitudine, la stessa che ricevono i cooperatori italiani in giro per il mondo quando vanno a portare aiuto. Credo si chiami "Aiutiamoli a casa loro".
Quando era ministro, Matteo Salvini in nome degli affari non è riuscito nemmeno a ottenere giustizia per un italiano morto, lo studente Giulio Regeni. Oggi si permette di giudicare un governo che ha riportato a casa un'italiana viva.
"E' venuta col velo in testa, segno di una cultura che sottomette la donna e non le permette di vestirsi come vuole"
hanno scritto gli stessi giornali che criticarono Carola Rackete perché andò a deporre in questura in maglietta senza il reggiseno, gli stessi che se vai in giro con la minigonna e ti stuprano te la sei cercata, gli stessi che Giovanna Botteri "potrebbe anche cambiarsi d'abito per andare in video, ogni tanto".
Per queste persone la libertà delle donne di vestirsi come pare a loro è sempre giudicabile, di solito a seconda della simpatia politica. L'unica misura della libertà di Aicha Romano è il suo sorriso, non il suo vestito, e l'unica preoccupazione che ieri avrebbe dovuto sfiorarci a suo riguardo è il fatto che per testimoniarci la sua liberazione si siano assembrati in 150 tra giornalisti, politici e poliziotti, rischiando - dopo una giornata di cattiverie e stupidaggini - di contagiarle pure il covid. Le manca solo quello.