Renato Tortarolo per "la Stampa"
Mick Jagger si fa strada con passo sicuro, un ballerino uscito dalla giungla, nella lingua di fuoco che fende il pubblico. É una notte piovosa, umida. Ma sembra di essere nelle fucine di Efesto, il dio del fuoco. È la notte della rinascita al Soldier Field, i fans sono emozionati, Jagger è lassù, anzi mi passa a meno di cinque metri.
E raggiunge la linea delle 30 yarde. Perché se in cielo qualcuno ti ama, nel primo concerto di questo nuovo tour nordamericano, spostato di due mesi per l' operazione al cuore del capo, è giusto celebrare il football, non solo il blues e la rivolta anti Trump, nel tempio dei leggendari Chicago Bears.
La macchina micidiale dei Rolling Stones impiega un soffio, il tempo di un respiro, di un ringraziamento sempre verso l' alto, credenti o meno, a imbrigliare il tifo, l' entusiasmo di 70 mila persone, per plasmarle in una folla incredula: la pressione rock di Street Fighting Man , l' ultimo ricordo di un '68 tradito da tutti, è devastante. E Jagger è spietato nel farsi vedere in forma smagliante .
Venerdì notte, nel grande stadio dedicato ai veterani delle guerre, si è consumato un rito che nessuno poteva immaginare. Quando Jagger, in giubbotto nero con rombi bianchi, raggiunge le 30 yarde manda a tutti il messaggio più atteso: sono tornato, siamo ancora qui, non è bello essere vivi? Lo ripeterà, sempre da quella lingua di fuoco tra i fans, quando verrà raggiunto dai tre fratelli di sangue, Keith Richards, Charlie Watts e Ron Wood, per cantare Angie . Quella ballata, con un sound da club bar, sarà il segnale che il tempo fatalmente finisce per sconfiggerci, ma possiamo sempre provare a ritardarne gli effetti.
«Va tutto abbastanza bene, vero?» chiede al pubblico, e parla di sé, vuol fare vedere a tutti che la valvola cardiaca è stata sostituita come succede agli eroi bionici: dopo sono ancora più veloci, testardi, risoluti. E così fa Jagger, incontenibile, con tutti gli Stones che non perdono un attimo, concentrati nel forgiare un rock incandescente, e se questa sera Efesto potesse vedere in faccia Keith Richards, con lo sguardo scuro di un predatore e il giubbotto di pelle che non te ne immagini un altro uguale sulla faccia della Terra, direbbe: ma quello sono io.
Perché così vuole la fragilità di certi uomini: se dobbiamo entrare nella leggenda, facciamolo subito. Al primo show di 17 che gireranno l' amata America sino al 31 agosto, Miami.
Con 1,3 milioni di spettatori che sono andati a ingrossare un incasso già altissimo. Jagger fa Jagger, con le mosse estratte dal libro delle arti marziali e un' abbondante dose di autoironia: non sta fermo un attimo «ma vi assicuro che non mi sto s tancando...», sorride. Jagger non lascia respiro, vuole che il pubblico non sia solo contento di vederlo, ma capisca da chi deve guardarsi nella vita reale.
«Sapete il mio nome...?» blandisce in Sympathy for the Devil , sapete perché siamo ancora qui a fare festa? Il diavolo non aspetta una risposta, Jagger se lo porta via in Jumpin' Jack Flash , Brown Sugar e una Gimme Shelter che graffia la pelle, monito a guardarsi intorno prima che sia troppo tardi. Il diavolo non c' è più, siamo stati salvato dai Rolling Stones nella resurrezione pirotecnica di Satisfaction . E i Rolling sorridono come predatori di un' epoca lontanissima. Siamo ancora qui. Aspettateci.
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