Chiara Baldi per “la Stampa”
Quella mattina del 23 febbraio - «sembra passato un secolo, e invece è solo un mese fa» - Camillo Bertocchi, sindaco di Alzano, piccolo paesino della bergamasca, non se la dimenticherà più. I dati che ogni giorno il bollettino di Regione Lombardia riporta sono drammatici: ieri nella bergamasca altri 340 positivi, per un totale di 4665. È la provincia in cui il virus fa più vittime. I morti ormai non si contano neanche più: qui tutti sanno che sono molti di più di quanto dicano i numeri ufficiali e non c' è famiglia che non abbia provato da vicino gli effetti del coronavirus.
Ma quella mattina, Bertocchi, era ancora inconsapevole di quello che sarebbe successo nelle settimane successive. «Mi alzai alle 6. 30 - racconta - e come prima cosa creai un gruppo su Whatsapp con tutti i colleghi della Media Val Seriana. Dovevamo decidere se far svolgere il Carnevale. Scrissi l' ordinanza per tutti e bloccammo i festeggiamenti».
Quel giorno, quando da poco più di 48 ore la Lombardia aveva scoperto di esser stata infettata, Alzano Lombardo, comune di 13 mila abitanti della Val Seriana, scopriva di avere il coronavirus in casa. Anzi, in ospedale. Le ricerche degli epidemiologi dimostrerebbero che al "Pesenti Fenaroli" quel pomeriggio vennero accertati due casi positivi. Tanto che la struttura fu chiusa per qualche ora perché almeno uno dei due era passato dal pronto soccorso. Poi, senza che ancora oggi nessuno sappia spiegarselo, nell' arco di poche ore venne riaperta.
«Cosa sia successo lì dentro quel giorno per me resta un mistero», confessa Bertocchi, che in questo mese di Covid19 ha provato più e più volte a entrare in contatto con i vertici del nosocomio, ma senza successo: «Nessuno ci ha degnati di una spiegazione. L' unica cosa che ci fu detta, quando venimmo convocati in Regione, è che c' erano questi due contagi». Due giorni dopo anche il primario del "Pesenti Fenaroli" risultò positivo. Ieri invece in città hanno festeggiato le dimissioni del neonato di 22 giorni che era stato ricoverato.
Che all' ospedale di Alzano qualcosa sia andato storto lo conferma anche Marco Rizzi, direttore dell' unità di Malattie Infettive dell' ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
«Sappiamo per certo che una delle principali cause della situazione bergamasca è da cercare dentro l' ospedale di Alzano, che dai primissimi giorni ha avuto un numero elevato di operatori e pazienti contagiati. Molti si sono spostati e hanno fatto sì che il virus rimbalzasse dalla Val Seriana alla Val Brembana. E poi in tutta la provincia», spiega Rizzi.
CRISTINA PARODI E GIORGIO GORI
Che avverte: «Le ricerche dicono che il coronavirus girava già a inizio anno. Ma nessuno all' epoca pensava al Covid19, per tutti era una questione solo della Cina. Ma così non è andata». Giorgio Gori, da sei anni sindaco di Bergamo, ha ancora negli occhi l'immagine drammatica delle camionette dell' Esercito che portano fuori le salme di 70 persone. «Quella foto scuote in primis noi bergamaschi, perché se ci guardassimo allo specchio e ci vedessimo così, rimarremmo scioccati».
Al ventottesimo giorno di epidemia, con un numero di morti che ormai non si riesce neanche più a quantificare, la città è stremata. «Certo», commenta Gori amaro, che ieri ha ricevuto anche una telefonata di conforto del presidente Mattarella «se si fosse fatta una zona rossa anche qua le cose forse sarebbero andate diversamente. Io l'avevo chiesta con altri sindaci, era persino venuto l'Esercito a fare i sopralluoghi, ma poi non se n'è fatto niente. Ora Fontana chiede al governo di chiudere di più le attività produttive, ma perché non lo fa lui? » .