Andrea Priante e Martina Zambon per il “Corriere della Sera”
«Temo che a quei due ragazzi sia successo qualcosa di molto grave».
Robert Guilloteau risponde al telefono, un po' sorpreso che dei giornalisti italiani siano riusciti a scovarlo fino a Bobo-Dioulasso, una città da mezzo milione di abitanti nel sud-ovest del Burkina Faso.
È lui l' uomo dei misteri, il cittadino francese che per ultimo ha visto l' architetto padovano Luca Tacchetto, 30 anni, e la sua amica canadese Edith Blais, 34, ormai più di tre settimane fa. Questo occidentale trapiantato nel cuore dell' Africa, è l' ultimo contatto conosciuto dei due ragazzi svaniti nel nulla in un Paese che la Farnesina sconsiglia di visitare perché considerato a rischio, sia per la presenza di banditi che di gruppi terroristici.
Che ci fa un francese in Burkina Faso?
«Ho 64 anni, sono originario di La Rochelle, nel Dipartimento della Charente. In Francia facevo l' agricoltore e, quando sono andato in pensione, dieci anni fa, mi sono trasferito qui e ho sposato una donna originaria del Togo».
Come ha conosciuto Luca Tacchetto ed Edith Blais?
«Li ho incontrati lungo la strada che dalla Mauritania attraversa il Mali per arrivare fino in Burkina Faso. E li ho invitati a casa mia e di mia moglie, il 15 dicembre. Quella sera abbiamo mangiato, bevuto. E intanto mi hanno raccontato del loro viaggio, di tutte le città che avevano visitato. Non mi capita spesso di trascorrere del tempo con dei ragazzi così giovani».
Poi siete stati al «Bois d' ébène», il locale che compare nell' ultimo video che Luca ha inviato a suo padre?
«Esatto. Conclusa la cena a casa nostra, quella che compare nella foto, siamo stati nel locale a ballare. Ci siamo divertiti molto, abbiamo fatto festa, una bella serata».
Poi vi siete salutati?
«Non subito: usciti dal locale siamo tornati a dormire a casa mia. Sono ripartiti il mattino seguente, saranno state le 10.30 più o meno».
Una guida burkinabé sostiene che lei avrebbe consigliato a Luca ed Edith di visitare un parco naturale, quello di Sindou...
«Non è vero, non erano diretti a Sindou ma alla moschea che sorge a Bobo-Dioulasso, non molto lontano da casa mia».
È una moschea antica, fatta di fango. La principale attrazione della città.
«Esatto. Mi hanno detto che dopo la visita alla moschea si sarebbero subito diretti a Ouagadougou, la capitale. Dovevano rivolgersi all' ufficio immigrazione perché il loro visto durava solo tre giorni e avevano bisogno di farne uno valido anche per Togo e Benin, così avrebbero speso un po' meno».
Quindi dalle 10.30 di quel 16 dicembre non li ha più sentiti?
«Non ho più avuto loro notizie».
Ha parlato con gli investigatori?
«Certamente: con la polizia, l' Interpol, gli uomini dell' ambasciata italiana... Le uniche a non essersi ancora fatte sentire sono le autorità canadesi. Ormai i giornali e le televisioni di qui parlano del caso, ma per capire che fine hanno fatto quei due ragazzi, occorre che vengano fatte altre indagini».
Un' idea se la sarà fatta su cosa possa essere accaduto a due turisti occidentali...
«Non lo so. Qui la situazione è seria un po' ovunque, per quanto riguarda l' allerta terrorismo, specie nel nord del Burkina Faso. I media locali ipotizzano un sequestro ma l' unica cosa certa è che tre settimane sono un periodo molto lungo per non dare alcun segnale».
Che cosa intende dire?
«Sono preoccupato. Temo che a quei due ragazzi sia accaduto qualcosa di molto grave».