MONDO CANE – IN PROVINCIA DI PORDENONE UNA SETTANTENNE, TITOLARE DI UN CANILE CON OLTRE 400 CANI, È INDAGATA PER MALTRATTAMENTO SUGLI ANIMALI: LO SCOPO ERA RENDERLI POCO SOCIEVOLI E QUINDI DIFFICILMENTE ADOTTABILI - INTANTO PERÒ INCASSAVA CENTINAIA DI MIGLIAIA DI EURO PER SPESE VETERINARIE E PER ACCUDIRE GLI ANIMALI DA 58 COMUNI TRA VENETO E FRIULI - NEL CANILE TROVATE ANCHE CENTINAIA DI CONFEZIONI DI MEDICINALI SCADUTI…

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Da "messaggeroveneto.gelocal.it"

 

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Animali ricoverati senza attuare le procedure di riabilitazione previste e spesso trasferiti dal canile di Villotta di Chions, luogo di degenza e custodia, all'abitazione della proprietaria della struttura, sottraendoli a possibilità di adozione e violando le normative sanitarie regionali.

 

In questo modo una donna di 70 anni, Aurora B., molto nota nel Pordenonese, secondo la Questura di Pordenone avrebbe lucrato centinaia di migliaia di euro per spese veterinarie, accudimento degli animali e altro.

 

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A scoprire la truffa, ai danni di 58 Comuni convenzionati tra Fvg e Veneto (48 in provincia di Pordenone e 10 di Udine e Venezia), è stata la Squadra mobile di Pordenone al termine di una serie di ispezioni.

 

La donna è accusata di concorso in truffa ai danni dello Stato e peculato. La polizia ha scoperto che sarebbero stati sottratti all'adozione oltre 400 cani.

Le ispezioni, disposte dalla pm Maria Grazia Zaina che ha accolto una specifica richiesta della polizia, sono avvenute nella sede legale del «Canile di Villotta di Chions», a Valvasone-Arzene.

 

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Durante le operazioni gli agenti sono stati coadiuvati da otto veterinari comportamentalisti presenti in qualità di Ctu tra Fvg e Veneto. Nella struttura oltre a 400 animali, tutti dotati di microchip, sono state trovate centinaia di confezioni di medicinali veterinari scaduti, elemento che comunque sarà oggetto di ulteriori approfondimenti investigativi.

 

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In particolare gli investigatori hanno potuto svelare il comportamento dell’indagata, la quale - come si sottolinea in un comunicato pubblicato nel sito della Questura di Pordenone - isolava gli animali  tra di loro in box singoli, perlopiù senza nemmeno farli “sgambare”, affinché non sviluppassero socialità e condizioni di sviluppo idonee alla loro futura adozione, per assicurarsi così il mantenimento della diaria fatturata ai Comuni affidatari.

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Oppure - sempre a detta degli inquirenti - in alcuni casi collocava più esemplari di taglie diverse in aree comuni, lasciandoli di fatto allo stato selvatico, in condizioni di “branco”, per impedire che questi sviluppassero affezione per l’uomo.

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