Giusi Fasano per il “Corriere della Sera”
la famiglia morreale con roberta siragusa
Come quei disegni che si formano unendo i puntini, uno dopo l’altro. Punto numero uno: Roberta che incontra Pietro, più di un anno fa. Punto che chiude il disegno: il corpo di lei in fondo al dirupo, «fra arbusti con spine» e «numerosi rifiuti».
Il disegno era un femminicidio. I puntini per metterlo a fuoco erano il preteso dominio di lui, l’isolamento crescente di lei, i segnali sottovalutati dalle famiglie, la violenza scambiata per conflitto, il possesso scambiato per amore, quella «fortissima gelosia» di cui scrive il giudice per ricostruire i fatti. Un classico — diciamo così — delle storie di donne ammazzate che abbiamo raccontato tante, troppe volte.
Roberta Siragusa aveva 17 anni. L’ultimo giorno di cui ha visto la luce è stato sabato 23 gennaio. E, quello stesso giorno è cominciata una narrazione del male che ha provato (inutilmente) a fare di lui — il suo fidanzato diciannovenne Pietro Morreale — un carnefice non troppo carnefice. Non la violenza come scelta, non il suo racconto ritenuto del tutto inverosimile, non gesti inqualificabili quei due ceffoni o quell’occhio nero di Roberta raccontati dai testimoni. No.
Al posto di tutto questo — e purtroppo è ancora una volta un classico — ci sono (perfino adesso) il minimizzare e il giustificare comportamenti che dovevano essere sentinelle della sua «fortissima attitudine al delitto», come dice il giudice. Ci sono una madre e un padre che vogliono credere alla sua versione ad ogni costo. Ci sono le sue stesse parole: «Non sono stato io, è scesa dalla macchina, si è data fuoco e si è buttata di sotto». E poi i segnali non colti nemmeno dalla madre di lei, Iana, quando dice che sì, i due litigavano ogni tanto «ma erano liti fisiologiche».
I dettagli
Ecco. Così una settimana dopo quel «non sono stato io» il copione di questa storia dice il contrario. I dettagli raccontano di un ragazzo mosso «da un sentimento morboso» che fa il vuoto attorno a lei. Roberta comincia la relazione con lui e per «amor suo» lascia il liceo e la scuola di danza che tanto amava.
Roberta si allontana dagli amici e li frequenta soltanto quando c’è anche lui. Roberta passa oltre l’occhio nero immortalato in una fotografia trovata sul suo profilo WhatsApp. Non reagisce ai due schiaffi che lui le dà perché lei gli sfila uno spinello dalla bocca e lo butta via. Roberta non ascolta gli amici che cercano di metterla in guardia dagli atteggiamenti aggressivi di lui.
A volte i due litigano anche davanti ai genitori dell’uno e dell’altra ma nessuno prende sul serio quegli scontri. «Liti sceme», per dirla con la madre di lui, Antonella. Atteggiamenti violenti ritenuti di poco conto. Per esempio quella volta che lui reagì in malo modo perché «lei lo aveva stuzzicato con dei pizzicotti». La madre di Pietro dice che in quell’occasione ne aveva parlato anche con la mamma di Roberta: tutto chiarito, la ragazza aveva «ammesso» di aver «provocato» la reazione del figlio.
I fatti
In mezzo a tutto questo arriva il giorno in cui Roberta smette di sentirsi innamorata e comincia a sentirsi in trappola, sola. Gli amici raccontano oggi di più episodi di violenza. Certo è che lui (appassionato di kickboxing) sabato sera ha lasciato assieme a lei la compagnia mentre ancora litigavano. «Amore mio bedda» le aveva scritto su Facebook poche ore prima. Lei aveva risposto con il solito cuoricino ma negli ultimi tempi non era più amore quello che provava per lui; forse le batteva il cuore per un altro ragazzo, lo stesso con il quale si è scambiata qualche messaggio pochi minuti prima di morire. Nell’ultimo gli scriveva che Pietro voleva appartarsi con lei. A qualcuna delle amiche aveva confessato di non poterlo lasciare perché temeva le sue reazioni.
Il volto tumefatto
Ogni passaggio di questo racconto è uno di quei punticini che hanno disegnato l’omicidio. Manca la certezza su un dettaglio che, se confermato, racconterebbe molto della personalità di Pietro: Roberta aveva «il capo pressoché rasato e il volto tumefatto», dice la relazione del ritrovamento. Potrebbe essere l’effetto del fuoco, ma anche no. E se non fosse stato il fuoco sarebbe lo sfregio finale voluto dall’assassino, la cancellazione dell’identità e della bellezza, buttata via fra «arbusti con spine» e «numerosi rifiuti».
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