1 – Armenia-Azerbaigian: Baku ordina la mobilitazione
(ANSA) - Il presidente azero Ilham Aliyev ha dichiarato la mobilitazione parziale. L'ordine di Aliyev è stato pubblicato sul sito web presidenziale. Il presidente ha incaricato il Servizio di Stato azerbaigiano per la mobilitazione e la coscrizione di leva secondo il piano approvato.
"Scontri di varia intensità sono stati osservati durante la notte. La mattina presto, il nemico ha ripreso l'offensiva con sistemi di artiglieria, veicoli corazzati e un lanciafiamme pesante TOS", ha detto l'addetto stampa del ministero della Difesa armeno, Shushan Stepanyan, su Facebook, precisando che le forze armate armene stanno prendendo contromisure. "Il nemico ha perso molte truppe e mezzi", ha detto Stepanyan. Lo riporta Interfax. Yerevan ha inoltre affermato di aver riconquistato le posizioni prese domenica dalle forze azere ma Baku ha rivendicato ulteriori progressi.
2 – Armenia-Azerbaigian:morti almeno 32 separatisti armeni ++
(ANSA) - Proseguono i combattimenti tra Armenia e Azerbaigian. Almeno 32 separatisti armeni sono stati uccisi, secondo una nota ufficiale. Almeno 15 soldati separatisti della regione del Nagorno-Karabakh sono stati uccisi oggi nei combattimenti con l'Azerbaigian, ha riferito questa mattina il ministero della Difesa della provincia secessionista sostenuta dall'Armenia. Questo porta a 32 il totale dei soldati uccisi dall'inizio dei combattimenti, ieri mattina. Secondo quanto comunicato, sono morti anche cinque civili azerbaigiani e due civili armeni del Karabakh, portando il bilancio ufficiale delle vittime a 39. L'Azerbaigian non ha dato notizie sulle sue perdite militari.
3 – Bombe tra Armenia e Azerbaigian Si riaccende il conflitto nel Caucaso
Giuseppe Agliastro per “la Stampa”
Armeni e azeri sono tornati a combattersi nel Nagorno-Karabakh. Gli scontri si sono riaccesi ieri mattina e con essi i timori che il conflitto in questa martoriata regione del Caucaso possa degenerare in una guerra più ampia. Le fazioni in lotta riferiscono di vittime sia tra i civili sia tra i combattenti.
Non c'è un bilancio chiaro di morti e feriti ma, stando alle diverse fonti, almeno 23 persone avrebbero perso la vita ieri: l'autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, appoggiata dall'Armenia, sostiene infatti che siano morti 16 dei suoi miliziani e almeno due civili, «una donna e un bambino», mentre l'Azerbaigian denuncia l'uccisione di una famiglia di cinque persone in un bombardamento.
Il presidente azero Ilham Aliyev parla inoltre di «perdite tra le nostre forze armate e la popolazione civile» ma senza fornire dati precisi. Dall'Onu all'Ue, da Parigi alla Farnesina, numerosi attori internazionali hanno esortato i governi di Baku e Yerevan a mettere fine alle ostilità, e Papa Francesco in Piazza San Pietro ha detto di pregare per la pace e ha chiesto «gesti concreti di buona volontà e di fratellanza».
Anche la Russia, legata all'Armenia da un'alleanza militare, ha chiesto di far tacere i cannoni e Putin ha detto al premier armeno Pashinyan che «è importante fare tutti gli sforzi necessari per evitare un'escalation del conflitto». La Turchia si è invece schierata apertamente dalla parte dell'Azerbaigian, ha definito l'Armenia «la più grande minaccia alla pace nella regione» e ha promesso a Baku «pieno appoggio» e «con tutti i mezzi».
Parole pesanti, a cui Pashinyan ha reagito chiedendo alle potenze mondiali di impedire ad Ankara di intromettersi nel conflitto. C'è chi teme che la situazione sfugga di mano e trascini dentro anche Russia e Turchia, che però negli ultimi anni hanno migliorato notevolmente i loro rapporti e non è detto che vogliano metterli a repentaglio proprio ora. Il Nagorno-Karabakh è una regione formalmente azera, ma di fatto controllata dagli indipendentisti armeni.
Qui tra il 1988 e il 1994 si è combattuta una guerra in cui si stima che siano morte circa 30.000 persone. Ma Usa, Francia e Russia - che guidano la mediazione del gruppo di Minsk dell'Osce - non sono mai riusciti a portare la pace tra Baku e Yerevan. La tregua siglata 26 anni fa viene così spesso infranta e il conflitto torna periodicamente a riaccendersi e a far scorrere il sangue in questo angolo del Caucaso.
Come sempre, anche ieri azeri e armeni si sono accusati a vicenda di aver iniziato i combattimenti. La guerra si fa anche a colpi di propaganda. L'Armenia ha puntato il dito contro l'Azerbaigian accusandolo di aver attaccato a colpi d'artiglieria e con missili e mezzi aerei alcuni centri abitati della regione e ha annunciato di aver risposto al fuoco abbattendo due elicotteri e tre droni e distruggendo tre carri armati nemici.
Un soldato armeno a guardia del confine nel Nagorno Karabah
Gli azeri però smentiscono la notizia, sostengono che siano stati gli armeni ad aprire il fuoco per primi e che loro abbiano lanciato una controffensiva solo dopo che le loro postazioni sono state prese di mira dal nemico. L'Azerbaigian poi fornisce un bilancio dei combattimenti a proprio favore: dice di aver distrutto 12 batterie antiaeree e di aver conquistato la vetta del monte Murov e sette villaggi prima in mano agli armeni, i quali però negano di aver perso il controllo di centri abitati e ribattono di aver ucciso addirittura «200 soldati azeri».
Sia l'Azerbaigian sia l'Armenia e i separatisti del Nagorno-Karabakh hanno deciso di introdurre la legge marziale. Ma Yerevan ha anche annunciato la mobilitazione militare. «Siate pronti a difendere la sacra patria», ha dichiarato il premier armeno Pashinyan. «La nostra causa è giusta e vinceremo», gli ha risposto il presidente azero Aliyev citando Stalin in un'escalation di retorica militarista.
4 – CONSIGLIERI, MERCENARI E ARMI LA NUOVA GUERRA PER PROCURA COMBATTUTA DA ERDOGAN E PUTIN
Giordano Stabile per “la Stampa”
Che le cose si mettessero male lo si era capito due giorni fa, quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva accusato l'Armenia di reclutare «terroristi del Pkk» e di prepararsi ad attaccare l'Azerbaigian suo alleato. Ankara ha subito promesso «ogni tipo di aiuto» a Baku e le tensioni sul fronte del Nagorno-Karabakh sono diventate incandescenti.
Media greci e siriani filo-russi hanno replicato che erano i turchi ad addestrare «centinaia di mercenari siriani», già pronti a essere inviati nel Caucaso, sulla falsariga di quanto accaduto a gennaio in Libia. Il preludio di un'altra guerra per procura fra Turchia e Russia, gli amici-nemici dell'ultimo decennio in Medio Oriente.
E' l'elemento nuovo, e preoccupante, di un conflitto trentennale, finora "intra-sovietico", frutto dei confini arbitrari tracciati da Stalin in nome del "divide et impera". L'enclave armena all'interno del territorio azero sembrava un problema irrisolvibile ma tutto sommato circoscritto a quel contesto.
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Ma adesso oltre agli eserciti armeno e azero si fronteggiano centinaia di consiglieri militari russi da una parte e turchi dall'altra, e presto forse anche miliziani con alle spalle uno dei peggiori conflitti civili della storia. L'Azerbaigian ha ricevuto dalla Turchia anche una flotta di droni, compresi alcuni ad alte prestazioni come i Bayraktar, già capaci di cambiare le sorti della battaglia di Tripoli e acquistati da Baku in estate, dopo i primi scontri di quest' anno.
Gli azeri erano rimasti delusi dai velivoli forniti in precedenza da Israele e hanno cominciato a riarmarsi a ritmi sostenuti. L'Armenia ha chiesto aiuto alla Russia. Ad agosto sono arrivate 400 tonnellate di materiale, e in questo momento è in corso un ponte aereo con giganteschi cargo Antonov e Ilyushin Il-76.
Per evitare di sorvolare sia l'Azerbaigian che la Georgia volano sul Caspio e poi arrivano in territorio armeno dall'Iran. Mosca ha fornito soprattutto difese anti-aeree e anti-droni a corto e medio raggio ma pure i potenti caccia Sukhoi Su-30. È evidente che Vladimir Putin è deciso a impedire che Baku si riprenda l'enclave ribelle ma non è chiaro fino a che punto alzerà il livello dello scontro con Erdogan. In Libia e in Siria i due sono arrivati a un compromesso, sia pur precario.
L'Azerbaigian è però un «Paese fratello» della Turchia, un pezzo di quella «patria del cuore» citata da Erdogan e che comprende ex territori dell'Impero ottomano e le terre musulmane turcofone in generale. Sull'altro fronte l'Armenia, Paese cristiano legato al mondo ortodosso slavo, è molto più vicina ai cuori e agli interessi strategici dei russi rispetto alla Libia o persino la Siria.
E fa parte della Collective Security Treaty Organization, conosciuta con l'acronimo Csto, una specie di Nato che raggruppa nazioni ex sovietiche rimaste nell'orbita di Mosca. Se il suo territorio fosse invaso avrebbe diritto a far scattare il meccanismo di «difesa collettiva», sul modello dell'Articolo 5 dell'Alleanza atlantica, come fa notare Michaël Tanchum, docente all'università della Navarra.
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E a quel punto lo stesso potrebbe fare Ankara con i suoi alleati europei e americani. Mosca e Washington, come Bruxelles, si ritroverebbero a chiedersi se vale la pena «morire per Stepanakert», il principale centro armeno nel Nagorno-Karabakh. Anche Erdogan però deve fare i conti con i rischi strategici di un'offensiva a tutto campo e i limiti del suo apparato militare e industriale.
Nonostante la tregua con la Grecia, dopo un'estate di fuoco, è ancora impegnato nel Nord della Siria, nel Kurdistan iracheno, a Cipro e in Libia. In tutto sono decine di migliaia di soldati dispiegati e mezzi logistici notevoli. Soltanto un anno fa, il 9 ottobre 2019, ha lanciato l'operazione nel Rojava, una doppia sfida agli Stati Uniti, che alla fine gli hanno dato semaforo verde, e alla Russia alleata di Bashar al-Assad e garante dell'integrità territoriale siriana.
In quel caso il leader turco ha constatato l'efficacia di una fanteria di miliziani arabi sostenuti dai droni. Lo schema è stato ripetuto in Libia e adesso, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, duecento jihadisti della provincia di Idlib sono stati addestrati e portati in Turchia a bordo di pullman, pronti a essere inviati in Azerbaigian.
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