1 - L'EROE NAVALNY CHE NON ACCENDE L'EMOZIONE DEL MONDO
Aldo Cazzullo per il "Corriere della Sera"
Aleksej Anatolevic Navalny è un eroe. La parola è abusata. Ma non si potrebbe definire diversamente un uomo disposto a mettere in gioco i suoi beni, i suoi cari, la sua stessa vita, per il suo Paese. Perché opporsi a Vladimir Putin significa essere disposti a mettere in gioco la vita. Navalny ha passato 14 mesi agli arresti domiciliari. È stato avvelenato, è finito in coma, ha rischiato di morire. La Germania l' ha accolto.
Ma Navalny non voleva vivere in esilio; tanto meno diventare una pedina dello scontro tra Putin e Angela Merkel, che si combattono in pubblico ma quando si incontrano in privato confabulano per mezz' ora a tu per tu, senza interpreti (la Cancelliera parla russo e il neo-Zar parla tedesco; del resto, entrambi si sono formati nella Ddr).
Navalny voleva combattere e, se necessario, morire in patria. Così è tornato a Mosca, dove sapeva che l' avrebbero atteso le manette e la cella per chissà quanto tempo, dimostrando un coraggio anche fisico d' altre epoche, che evoca quello di un Giuseppe Garibaldi o di un Giuseppe Mazzini. Non sembri un accostamento eccessivo.
Gli eroi del Risorgimento italiano erano gli uomini più famosi del mondo. Ovunque ci fosse un popolo oppresso, si custodivano i loro ritratti nelle case, si scandivano i loro nomi nei cortei. Purtroppo non possiamo dire lo stesso di Navalny. Il suo arresto, la persecuzione dei suoi collaboratori - tutti in esilio o in galera -, la brutale repressione dei manifestanti scesi in piazza a sua difesa non hanno suscitato nell' opinione pubblica globale l' emozione che meriterebbero.
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Certo, altre cose incombono: la crisi sanitaria e quella economica, che in Italia sono diventate anche crisi del sistema politico. E la rete, se può essere una formidabile arma di organizzazione del dissenso - in rete è nato il movimento di Navalny, essendo i media tradizionali controllati rigidamente dal Cremlino -, può rivelarsi anche un' arma di distrazione di massa.
Navalny è un eroe, non un santo. Molte sue idee sono discutibili (come emerse dall' intervista-scoop che Paolo Valentino gli fece sul Corriere nel 2016). È un democratico, ma è anche un nazionalista.
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Nei suoi occhi Enzo Bettiza avrebbe forse intravisto quel «lampo di follia» che secondo lui balenava «nello sguardo dei russi bianchi». Inoltre, Navalny non ha con sé la maggioranza dei connazionali, che sono riconoscenti a Putin per aver riportato l'immenso Paese tra le superpotenze, sia pure a prezzo di una guerra di sterminio in Cecenia, dell' aggressione alla Georgia e all' Ucraina, dei dispendiosi interventi in Medio Oriente e in Nordafrica. Ma Navalny non è isolato. L' ultima volta che poté presentarsi alle elezioni, quando nel 2013 si candidò sindaco di Mosca, raccolse il 27%.
alexei navalny in aereo verso mosca
Le sue denunce sulla corruzione del regime sono state confermate dai fatti. La «Russia del futuro», che è anche il nome del suo partito, non potrà fare a meno di lui.
Ieri Putin ha parlato al mondo dal podio digitale di Davos. L'altro ieri ha avuto la prima, difficile telefonata con il nuovo presidente americano. Il momento è cruciale. La Russia ha la sua atomica e il suo vaccino, ha l' energia e i gasdotti per esportarla, ha un esercito e a differenza degli europei è disposta a usarlo.
Tutto questo induce giustamente le democrazie dell' Occidente a prendere Putin molto sul serio. Ma proprio perché siamo democrazie, nessuno di noi dovrebbe dimenticare che la forza della libertà alla lunga si rivela insopprimibile; persino per un autocrate talmente cinico da dire che «se davvero l' avessi fatto avvelenare io, Navalny sarebbe morto».
2 - NAVALNY NELL'EX PRIGIONE DEL KGB QUI FINIRONO TERRORISTI E SERIAL KILLER
Jacopo Iacoboni per "la Stampa"
«Alexei Navalny è rinchiuso in una prigione molto particolare a Mosca. Si chiama "Kremlin Central" e non è un comune centro di detenzione», spiega Olga Zeveleva, sociologa del Social Sciences Lab a Cambridge, studiosa di Storia delle prigioni. È una delle sette prigioni storiche del Kgb in Russia. Luoghi infami, ma che potrebbero porre un problema anche alla Russia, se l' Ue prestasse attenzione al caso. Sentite perché.
Mentre ieri dei presunti agenti si sono presentati a casa del dissidente e di sua moglie, Yulia, per effettuare una perquisizione (il capo dell' FSb ha incredibilmente detto che la coppia ha violato le norme sanitarie sul Covid), Navalny è tuttora rinchiuso nel carcere «Fku Sizo-1 Fsin», detto appunto «Kremlin Central» una delle 7 carceri russe subordinate all' amministrazione penitenziaria centrale.
Si tratta di un blocco separato della prigione «Fku Sizo-1 Ufsin» (il nome è quasi identico), nota invece come «Matrosskaya Tishina» o Sailor' s Silence, che spesso vengono confuse perché allo stesso indirizzo. In realtà «Kremlin Central» è qualcosa di molto diverso, e con una sua storia nera, in Russia. Navalny, arrivando a Kremlin Central, ha detto: «Ho letto di questa prigione nei libri, e ora sono qui. Vita in Russia».
Le altre sei carceri speciali si trovano nei maggiori luoghi strategici: sono Fku Sizo-2 Fsin o Lefortovo, che era la prigione principale del Kgb a Mosca; Fku Sizo-3 Fsin a San Pietroburgo noto come Shpalernaya; Fku Sizo-4 Fsin a Rostov-on-Don; Fku Sizo-5 Fsin a Krasnodar Krai; Fku Sizo-6 Fsin a Vladikavkaz in Ossezia e Fku Sizo-7 Fsin a Chelyabinsk. In pratica, sono le sette prigioni più segrete in Russia e, secondo convinzione degli studiosi, sono tuttora gestite de facto dall' Fsb. «Fino al 2008 - spiega la studiosa di Oxford Judith Pallot, una delle grandi esperte in materia - le sette carceri, incluso "Kremlin Central", erano ufficialmente subordinate all' Fsb, che le aveva ereditate dal Kgb nel 1994.
Poi sono state trasferite sotto il controllo degli Interni, ma sono state restituite all' Fsb nel 1997, fino al 2008, quando sono stati trasferiti al servizio carcerario (ministero della Giustizia). L' Fsb si è opposto fermamente alla perdita delle sue prigioni, ma sembra sia stato in grado di mantenere il controllo de facto almeno su alcune di esse», dice Pallot, che ha intervistato detenuti delle 7 prigioni, che in alcuni casi coincidono tuttora con il quartier generale dell' Fsb. Kremlin Central è solo un po' più giovane dell' infame Lefortovo: nacque nel 1985.
A Kremlin Central vennero tenuti in duro isolamento serial killer, presunti terroristi, mafiosi invisi al regime (gli amici sono a piede libero), intellettuali o artisti, famosi, alti funzionari governativi e imprenditori pericolosi per il regime. Putin vi rinchiuse, per dire, Platon Lebedev, Mikhael Khodorkovsky, Alexei Pichugin. O nemici politici che voleva far fuori, come l' ex ministro dell' economia Aleksei Ulyukaev. Senonché, stando alle norme che vincolano anche la Russia in quanto appartenente al Consiglio d' Europa, l' Fsb non dovrebbe gestire alcuna prigione: viola i diritti umani dei detenuti avere un' agenzia che, ad un tempo, fa indagini e avvelenamenti di dissidenti, e poi è responsabile anche della loro custodia.
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