Estratto dell'articolo di Stefania Parmeggiani per "Il Venerdì di Repubblica"
«Appartengo a una generazione che ha visto nell’erotismo una forma di liberazione, compresi i film hard. Il primo l’ho visto a sedici anni in un cinema di Londra, ma ero un’adolescente che aveva ricevuto dai suoi genitori liberal un’educazione sessuale e sentimentale». Lilli Gruber è seduta alla sua scrivania, nella redazione di Otto e mezzo. […]
Ha appena scritto un libro per Rizzoli sull’argomento – Non farti fottere – in cui indaga i meccanismi economici e le implicazioni sociali del porno online
COPERTINA NON FARTI FOTTERE - LILLI GRUBER
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«Tra adulti consapevoli non c’è da scandalizzarsi. Ma il porno non è più, se mai lo è stato, una faccenda solo per adulti consapevoli. Secondo i pochi studi seri esistenti, in Italia, tra i 14 e i 17 anni, quasi il 90 per cento dei ragazzi e il 40 delle ragazze frequentano più o meno assiduamente siti hard. I minorenni – globalmente l’età media è ormai dodici anni – accedono a una mole di video gratuiti, che mostrano una sessualità che raramente corrisponde alla realtà e che spesso è anche violenta».
Nel libro parla di «banalizzazione della violenza».
«Non esistono studi scientifici che dimostrino un legame causale tra porno online e cultura dello stupro, ma ci sono casi di cronaca che fanno riflettere. L’estate scorsa a Palermo una diciannovenne è stata violentata da sei ragazzi, di cui un minorenne, mentre un settimo riprendeva la scena con il telefonino. Poi il branco si è scambiato messaggi: “Eravamo cento cani sopra una gatta, una cosa così l’avevo vista solo nei video porno”. Immagino si riferissero alle gang bang, quasi un classico della pornografia online».
Rocco Siffredi sostiene però che se aumentano i video hard violenti è perché è la società ad essere più violenta, non il contrario.
«C’è una nuova versione soft di Siffredi, che oggi ha deciso di mostrarsi pentito del suo passato hard. Di certo, data la sua esperienza, ha cose interessanti da raccontare: in quell’intervista aggiunge che oggi molti registi hanno smesso di preoccuparsi del benessere delle attrici, anestetizzandole con una punturina prima di una tripla penetrazione anale. E spiega che, così, si rischia anche di anestetizzare la coscienza dei giovani, lasciati soli con un telefonino davanti a un mondo che non sono in grado di gestire e comprendere. Non è un problema morale, è un problema sociale. E dobbiamo affrontarlo».
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Che cosa dovremmo sapere?
«Innanzitutto, il modello di business che fa propri tutti gli elementi del capitalismo selvaggio: sfruttamento e precarizzazione dei lavoratori, produzione e consumo di massa di contenuti standardizzati, massimizzazione dei profitti, concentrazione delle risorse nelle mani di pochi».
Iniziamo dalla produzione.
«Roberta Gemma, una delle professioniste più longeve del nostro hard, quasi vent’anni di carriera, mi ha raccontato che in Italia non si produce quasi più nulla perché è più conveniente girare nei paesi dell’Est. A Praga c’è un palazzone con un piano di uffici, uno con i dormitori delle ragazze, un altro per i ragazzi e poi i set dove si gira ogni giorno. Forse, possiamo immaginarci condizioni di lavoro migliori».
Chi sono i signori del porno?
«I veri giganti del settore sono le piattaforme. Quattro controllano il mercato: Pornhub, XVideos, XNXX e xHamster. Ciascuna attira più visitatori di Netflix, Amazon Prime e Apple Tv messe insieme e tutte hanno qualche segreto da nascondere».
Ad esempio?
«Sono molto opache. Gli ultimi dati sui ricavi risalgono al 2022 e variano dai 51,8 ai 173 miliardi di dollari all’anno. Già dal divario si capisce come sia impossibile determinare davvero le cifre. Ad esempio, xHamster è di proprietà di un uomo d’affari russo, Oleg Netepenko, che ha residenza a Cipro, Paese che spesso viene utilizzato come lavatrice di soldi sporchi».
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Che cosa si potrebbe fare?
«Chiarezza sui temi più problematici, come l’uso dell’intelligenza artificiale e la compravendita dei nostri dati personali. Misure per la trasparenza delle pratiche economiche del settore, diritti per i lavoratori. E, soprattutto, vanno protetti i minorenni».
Torniamo al punto: come?
«Togliendo la gratuità. Perché gli adolescenti difficilmente hanno una carta di credito. E poi mettendo in campo un serio progetto di educazione sentimentale e sessuale nelle scuole che sia anche educazione digitale. Tema spinosissimo in Italia...».
Valditara ha provato a istituire l’ora di “Educazione alle relazioni”.
«E ha fallito miseramente perché sono cominciate le polemiche, con le destre che temevano fosse un modo per introdurre la “cultura gender” e la lite sui nomi della Commissione che avrebbe dovuto occuparsene. Non possiamo politicizzare e strumentalizzare temi così delicati che riguardano le future generazioni. Dobbiamo guardare in faccia la realtà e non lasciare gli adolescenti soli in un mondo dove rischiano di farsi rubare, oltre ai dati personali, anche desideri e fantasia».
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