Valeria D'autilia per “la Stampa”
Una realtà agricola da generazioni, guidata da tre sorelle. Nel cuore del Parco del Gargano, tra uliveti, vigneti e distese di grano. «I campi vengono coltivati rispettando l'ecosistema ambientale, valorizzando le piante autoctone e tutelando la natura del territorio» si legge sul sito dell'azienda agricola Bisceglia.
Ma per la procura di Foggia, che ha aperto un'inchiesta per caporalato, è qui che si annidano le pieghe dello sfruttamento. E nel mirino finisce una delle socie: Rosalba Livrerio Bisceglia, 55 anni, moglie del dimissionario capo del Dipartimento Libertà civili ed immigrazione del Viminale Michele Di Bari. Il prefetto, alla notizia del coinvolgimento della donna, ha rassegnato subito le sue dimissioni, accolte dal ministro dell'Interno Lamorgese.
Poi si è detto «dispiaciuto moltissimo per mia moglie che ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità», sottolineandone la «totale estraneità ai fatti contestati». La prossima settimana si attende l'interrogatorio di garanzia. Livrerio Bisceglia è indagata (con obbligo di dimora) insieme ad altre dieci persone, mentre cinque- tra caporali e imprenditori- sono state arrestate.
Dieci in tutto le aziende coinvolte, per un volume d'affari annuo di 5 milioni. Ai lavoratori andavano circa 35 euro al giorno: una parte era per il caporale. «Si sente la coscienza a posto» fa sapere il suo avvocato, Gianluca Ursitti, che sta preparando la documentazione per la difesa, mentre ci tiene a specificare che, in questi ettari di terra, la maggior parte del lavoro è meccanizzato e l'impiego di manodopera, di conseguenza, marginale. «Abbiamo tutti i pagamenti tracciati. Per noi questa è condizione già necessaria e sufficiente per escludere la sussistenza del reato».
Stando alle accuse, non si rispettavano i contratti: i lavoratori avrebbero ricevuto «la somma di 5,70 euro all'ora e il pagamento avveniva anche conteggiando il numero di cassoni raccolti». E poi niente straordinario retribuito, né servizi igienici idonei o pause (ad eccezione del pranzo). Ma ci sarebbe dell'altro: venivano impiegati senza dispositivi di sicurezza e «spesso non provvedendo alla loro assunzione formale e non controllando che i documenti corrispondessero effettivamente ai braccianti poi presenti sui campi».
Proprio qui, erano sotto il controllo serrato del loro sfruttatore, Bakary Saidy. «Porta da Nico tutti i documenti» si legge nelle intercettazioni della Livrerio Bisceglia. «Devi portare prima perché così io devo fare ingaggi...e poi il giorno dopo iniziate a lavorare» dice a Saidy. Per gli inquirenti l'imprenditrice era «consapevole delle modalità delle condotte di reclutamento e sfruttamento».
Stando alle carte, le braccia venivano assoldate dal caporale nel ghetto di Borgo Mezzanone, in base alla manodopera richiesta dalla moglie del prefetto. Poi «venivano controllati e gestiti» da Matteo Bisceglia e «assunti tramite documenti forniti dal Saidy che riceveva il compenso da Livrerio Bisceglia». Soldi che il caporale distribuiva tra i migranti, facendosi pagare 5 euro per l'attività di intermediazione.
«Noi, senza documenti, siamo andati via» racconta un bracciante, informando il suo superiore dell'ispezione dei carabinieri nell'azienda. Per il gip la conferma che alcuni di loro non erano assunti regolarmente e che erano fuggiti, proprio per eludere i controlli. In un'altra conversazione, è Bakary a dare indicazioni su come muoversi: «Quando andate al lavoro, portate la macchina in un posto lontano, non vicino a voi». Perché «quando il problema viene, nessuno si salva». Era settembre dell'anno scorso.