NESSUN COLPEVOLE PER LA STRAGE DI VIA DI VIGNA JACOBINI! 21 ANNI FA IL CROLLO DEL PALAZZO CAUSÒ LA MORTE DI 27 PERSONE (DI CUI 6 BAMBINI) AL PORTUENSE, A ROMA: ASSOLTO L’UNICO IMPUTATO, IL TITOLARE DELLA TIPOGRAFIA –IL CEDIMENTO E’ COLPA DEI MATERIALI SCADENTI E DI “DECISIVI DIFETTI STRUTTURALI…”

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Francesco Salvatore per “la Repubblica - Edizione Roma”

 

crollo palazzo via vigna jacobini crollo palazzo via vigna jacobini

Era la notte del 16 dicembre del 1998 quando in via di Vigna Jacobini, al Portuense, crollò un palazzo di cinque piani uccidendo 27 residenti, tra cui 6 bambini. A 21 anni da quella tragedia, incasellata come la più grande strage del dopoguerra a Roma, anche l' ultimo dei processi incardinati in tribunale per addebitare a qualcuno la responsabilità di quelle morti si è concluso con un' assoluzione.

 

Mario Capobianchi, proprietario della tipografia " San Paolo", ubicata nel seminterrato dell' edificio, è stato assolto dalla terza corte d' appello di Roma "perché il fatto non sussiste". A sollecitare la formula assolutoria anche la stessa procura generale nella requisitoria. Capobianchi era accusato di disastro e omicidio colposo. Il lungo iter giudiziario era partito con una condanna a due anni e 8 mesi in primo grado, una conferma in appello a due anni, e poi due annullamenti disposti dalla corte di cassazione, con rinvio in corte d' appello ad altrettanti collegi, l' ultimo dei quali sfociato nel processo terminato ieri.

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«Rimane l' amarezza perché il mio assistito, che dopo aver perso tutto adesso guida un pullmino per disabili, per venti anni si è portato addosso il peso di una tragedia di così vaste proporzioni e solo ora ha ottenuto giustizia - ha commentato l' avvocato Alberto Misiani, difensore di Capobianchi - la tipografia non ha avuto alcun ruolo nel cedimento del palazzo che, come hanno affermato i periti, era stato costruito con calcestruzzo di scarsa qualità e per carenze progettuali. Lo stabile, insomma, sarebbe venuto giù in ogni caso».

 

La precedente sentenza di condanna nel processo d' appello bis, invece, aveva affermato che l' elevato numero di stampanti presenti nella tipografia e le relative emissioni di calore avevano comunque innalzato la temperatura del locale abbattendo il tasso di umidità relativa e concorrendo allo sgretolamento dell' edificio. Tesi, poi, confutata dalla Cassazione. Secondo gli Ermellini l' immobile, in base a quanto è emerso dalle perizie, sarebbe crollato perché costruito, dall' origine, con « decisivi difetti strutturali». Il riferimento alla umidità altro non sarebbe che una « affermazione palesemente apodittica, e come tale inidonea a confutare le difformi conclusioni raggiunte dai periti nominati».

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D' altra parte, nel tortuoso iter, conclusosi ieri, anche un diverso collegio d' appello - assolvendo una prima volta Capobianchi e l' altro amministratore della tipografia poi deceduto, Vincenzo Mudanò - aveva attribuito il crollo dell' edificio a « carenze progettuali» , « scarsa qualità ed estrema disomogeneità del calcestruzzo » . Per i giudici non c' erano i presupposti per «addebitare il tragico evento agli imputati a titolo di colpa » , « non potendo ad essi essere mosso alcun rimprovero per aver fatto ragionevole affidamento, in mancanza di segni di allarme o rivelatori delle gravi anomalie costruttive dell' edificio, sulla buona posa in opera dell' edificio».

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