Gabriele Guccione per “la Repubblica”
Marito e marito? «Continueremo a dirci compagni. Come abbiamo sempre fatto». Franco e Gianni, 83 e 79 anni, stanno assieme da mezzo secolo. «Penso che siamo la coppia gay più vecchia», ipotizza Gianni. Guardano insieme il lago di Avigliana. Qui, alle porte della Valsusa, sul terrazzo del ristorante “Lago Grande”, sabato verranno a festeggiare con 16 parenti e amici la loro unione civile: la prima celebrata a Torino.
Avete scritto due anni fa al premier Matteo Renzi per chiedere di accelerare sulle unioni civili. Che bisogno c’è di “sposarvi” alla vostra età?
«Ci farà ridiventare cittadini di serie A, anche se noi ci siamo sempre considerati tali. E se anche il Vaticano o l’arcivescovo di Torino dicono che la famiglia è una sola, noi ci siamo sempre sentiti famiglia. Il nostro rapporto a due diventerà tale di fronte al mondo. Il primo motivo dunque è l’affetto.
Il secondo è l’aspetto patrimoniale, la reversibilità della pensione, la successione. Uno di noi, Franco, soffre di salute e ha subito sette interventi chirurgici: tutte le volte abbiamo dovuto dichiarare che eravamo insieme per non essere sbattuti fuori dall’ospedale. I giovani hanno la vita davanti, noi quel poco di vecchiaia che ci resta».
Siete credenti?
«Sì, ma non siamo molto praticanti, anche se qualche affidamento dell’anima al cielo, alla nostra età, lo facciamo. A settembre non potremo essere all’unione civile di Stefano (il ragazzo che li ha aiutati nel disbrigo delle pratiche con l’anagrafe, ndr) perché saremo a Lourdes».
Vi è mai mancato un figlio?
«No, sinceramente no».
Siete favorevoli alle adozioni per le coppie gay?
«Abbiamo qualche dubbio. Va fatto con molta intelligenza e attenzione nei confronti dei ragazzini. Che, va detto, si fanno molti meno problemi degli adulti».
Come vi siete conosciuti?
«Era il 1964, un 14 luglio, giorno della presa della Bastiglia. Era un lunedì. Una festa a casa di amici in collina. Avevamo 26 e 31 anni».
Mezzo secolo fa. Era complicato allora riconoscersi per dei giovani omosessuali?
«Non c’erano ancora i locali. Nell’ambito gay ci si trovava nelle case. C’erano giri di amici, ci si conosceva e ci si incontrava ».
Quando siete andati a vivere assieme?
«Due anni dopo. Ed è stata una tragedia».
Perché?
«Trovare casa è stata un’impresa. Quando l’agenzia o i proprietari vedevano arrivare due uomini ci mandavano a stendere. Non lo dicevano mai chiaramente, ma accampavano scuse. Alla fine ci siamo riusciti. Ed è iniziata la nostra convivenza. Con gli anni abbiamo anche comprato casa con il mutuo. Come una coppia qualsiasi».
Con i vicini avete mai avuto problemi?
«Mai storie, reazioni scomposte o negative».
E sul lavoro?
«Nel modo più assoluto. Io — annota Franco — ero impiegato tecnico Fiat. Gianni direttore di un negozio in piazza Statuto. Alle spalle poteva capitare la battuta, ma mai oltre. Non abbiamo mai attaccato i manifesti, né siamo stati gay politicamente impegnati, ma non abbiamo mai negato la nostra identità a chi chiedeva. Mai fatto “finta di”».
Come si vive 50 anni assieme?
«Non c’è nulla di diverso dalle coppie che arrivano a vivere molto tempo assieme. E si accetta di non dare sberle a tutte le mosche. Ruoli ben precisi però non ce ne sono. Uno ha il compito della lavastoviglie, l’altro della lavatrice ».
Quando vi è venuto in mente di “sposarvi”?
«Quando si è cominciato a parlare dei Pacs. Ma dopo anni non pensavamo più di farcela. Avevamo già fatto testamento. Lo Stato è stato lento, carente. Con rabbia vedevamo l’Europa andare avanti e l’Italia restare ferma. I nostri amici erano tutti coppie gay, come Giorgio e Armando. Sono morti tutti: se solo la legge fosse arrivata prima…».
Come arriverete alla cerimonia di sabato?
«Felici, anche se un po’ stanchi. È un’emozione molto forte. Quelle piccole cose che un novello sposo fa quasi senza accorgersene, come comprare gli anelli, provare gli abiti, decidere gli invitati alla cerimonia o il ristorante, sono state tutte nuove ed emozionanti».
E l’indomani?
«Dormiremo tutto il giorno. E lunedì ricomincia la nostra vita di sempre, ma con un qualcosa in più: non avremo più bisogno di dimostrare al mondo chi siamo ».