Grazia Longo per “la Stampa”
La paura è che possa essere «un nuovo caso Regeni». L' arresto, al Cairo, di uno studente e attivista egiziano di 27 anni, che frequenta un master all' Università di Bologna, mette in allarme Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, preoccupato «delle torture a cui può essere sottoposto il giovane com' era già accaduto a Giulio».
Patrick George Zaki è partito da Bologna giovedì scorso con un volo diretto al Cairo, da dove si sarebbe poi dovuto spostare per raggiungere la famiglia nella sua città natale Mansoura. Ma non appena atterrato, nella notte tra giovedì e venerdì, è stato fermato dalla polizia di Al Sisi che lo accusa di diffusione di false notizie che disturbano l' ordine sociale, incitamento a protestare in modo non autorizzato per minare l' autorità dello Stato e disturbare pace e pubblica sicurezza, incitazione alla destituzione del governo e promozione di principi e idee contrari alla Costituzione, gestione e uso di un account d' informazione per minare la sicurezza nazionale, promozione di crimini terroristici e uso di violenza.
Il capo di imputazione è stato reso noto dall' organizzazione non governativa Egyptian Center for Economic & Social Rights (Ecesr) con cui collabora Zaki. Lo studente, che per ora dovrà scontare 15 giorni di detenzione, ha potuto fare solo una telefonata per avvertire i genitori di essere stato arrestato, dopodiché gli sono stati vietati contatti con la famiglia e con l' avvocato.
Patrick George Zaki era arrivato a Bologna il 29 agosto scorso, il 2 settembre aveva superato l' esame di ammissione al master internazionale «Gemma» dell' Università di Bologna, dedicato agli studi sui diritti di genere. Appena quattro giorni fa, il 5 febbraio, ha brillantemente passato un esame al master dell' Alma mater studiorum. Il giorno successivo è partito, ignaro che contro di lui pendesse, dal 23 settembre 2019, un mandato di cattura della polizia egiziana. È stato bloccato giovedì notte, ma l' arresto è stato formalizzato ieri mattina. Che cosa è accaduto nel frattempo? Riccardo Noury è convinto che «sia stato sottoposto all' elettroshock».
Il vicario dell' università, il professor Mirko Degli Esposti, precisa che «il caso ha la massima attenzione da parte nostra. Lo studente non si è recato in Egitto per conto dell' università, altrimenti sarebbe stato monitorato come avviene in casi analoghi». Il responsabile di Amnesty International auspica che «il rettorato dell' Alma Mater protesti o quantomeno solleciti proteste da parte della Farnesina perché in Egitto è stato arrestato un suo studente».
Il ministro degli esteri Luigi Di Maio, come trapela dalla Farnesina, sta seguendo costantemente il caso. Intanto il sindaco di Bologna, Virginio Merola, incalza: «Mi associo alle preoccupazioni di Amnesty International e spero che si possano avere presto notizie rassicuranti sullo studente egiziano che sta frequentando un master nell' università.
Dal balcone del nostro Comune sventola lo striscione giallo per Giulio Regeni, anche per questo non possiamo essere indifferenti a quello che è accaduto». E il governatore dell' Emilia-Romagna Stefano Bonaccini aggiunge: «Auspico che al più presto si possano avere notizie rassicuranti. Il nostro ministero degli Esteri sta seguendo la vicenda, che non può in alcun modo deviare dal rispetto dei diritti della persona, da procedure trasparenti e dalla piena informazione su quanto stia accadendo».
Il rientro del nostro ambasciatore al Cairo viene invece sollecitato dall' avvocato della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini, insieme all' Adi, associazione dei dottorandi e dottori di ricerca in Italia, gli studenti del Master Gemma di Bologna che Patrick frequentava, il Link Coordinamento Universitario. Tutti insieme hanno firmato un appello per «unire la nostra voce a quella della famiglia Regeni nel chiedere al governo di inserire l' Egitto nella lista dei Paesi non sicuri e di richiamare l' ambasciatore italiano al Cairo per consultazioni».
2 - DA TAHRIR ALL'OPPOSIZIONE AD AL SISI COSÌ PATRICK È FINITO NELLA LISTA NERA
Francesca Paci per “la Stampa”
Patrick George Zaki non aveva paura di tornare a casa in vacanza: sebbene si occupi di politica sin dalla rivoluzione del 2011 (contro l' allora presidente Mubarak), non era mai stato arrestato. Minacciato sì, racconta un amico dei tempi di piazza Tahrir che invece ora di paura ne ha parecchia. Ma nessun faccia a faccia con la famigerata National Security, la sicurezza interna che secondo la Procura di Roma è la chiave del caso Regeni: «Ci siamo sentiti al telefono giovedì, prevedeva di restare al Cairo dieci giorni, abbiamo parlato della situazione tesa del Paese. Patrick però è un attivista noto, uno da 10 mila followers, non si nasconde, è impegnato da anni sui diritti Lgbt e ha sempre postato dure critiche al regime mettendoci la faccia».
L' accusa è pesantissima, ci spiega l' avvocato dell' Egyptian Initiative for Personal Rights, l' Ong per cui Patrick ha lavorato a lungo: «C' è un ordine di arresto risalente al 26 settembre scorso in cui è citato l' uso dei social media per sovvertire lo Stato, l' istigazione alla protesta non autorizzata, la propaganda per gruppi terroristici e l' uso della violenza. È un pacchetto preconfezionato di cinque capi d' imputazione che non c' entra nulla con l' attivismo serio ma trasparente di Patrick e che c' entra molto invece con la repressione inaspritasi dopo le manifestazioni anti-regime di settembre, da allora sono state arrestate almeno 4 mila persone e nonostante molti siano stati rilasciati il messaggio martellante è "vi stiamo addosso" ».
Cos' è successo tra il 26 agosto, quando Patrick George Zaki, brillante laureato in farmacia votato alla politica, ha preso tranquillamente l' aereo per venire a studiare antropologia a Bologna, e il 26 del mese successivo, quando le autorità egiziane, alle prese con le piazze aizzate dal misterioso imprenditore ex insider Mohamed Ali, l' hanno inserito a sua insaputa nella lista nera?
«Quei trenta giorni sono il bandolo della matassa, quando il regime ha letteralmente flippato di fronte alla prima vera sollevazione popolare dopo anni di bavaglio» ragiona un altro amico, anche lui molto allarmato.
Si conoscono da quando Patrick, un giovane egiziano copto originario di Mansura, dove vivono ancora i genitori e la sorella minore, si è trasferito nella capitale per studiare farmacia e si è appassionato alla politica: «Eravamo a Tahrir nel 2011, lui aveva 20 anni. Era in piazza anche l' anno dopo contro il governo dei Fratelli Musulmani e c' era nel 2013 contro il golpe popolare guidato dall' attuale presidente al Sisi. Voleva che Morsi fosse cacciato dal popolo e non dall' esercito. Quando la morsa si è stretta fino a soffocarci ha fatto campagna per Khaled Ali, l' avvocato degli attivisti che, unico coraggioso, ha sfidato al Sisi alle presidenziali. E a settembre scorso, come tutti noi, ha condiviso i video che mostravano le nuove proteste contro al Sisi».
il manifesto prima pagina con gli articoli di giulio regeni dopo la morte
È uno dei tanti egiziani che non tacciono Patrick George Zaki. Uno di quelli che la stampa internazionale, nel pieno dell' eccitazione per le primavere arabe, definiva leader di un movimento invece senza leader e proprio per questo forse facilmente fagocitabile dalla contro-rivoluzione. Venerdì mattina è atterrato al Cairo senza paura e senza una parola la sicurezza l' ha portato via.
«Per 12 ore non abbiamo saputo nulla di lui, gli hanno preso il telefonino e il pc e hanno cancellato i suoi profili social - continua l' avvocato con voce gentile, un coetaneo di Patrick -. Sabato mattina è riuscito a chiamarci e l' ho raggiunto al carcere di Mansura, 120 km a nord del Cairo, dove l' hanno portato basandosi sul suo indirizzo di residenza. L' ho visto, l' hanno torturato, è stato picchiato e sottoposto a scosse elettriche, hanno detto che resterà in detenzione 15 giorni ma le accuse sono pesanti, del genere che di solito inchiodano la gente in cella dai sei mesi ai due anni e poi la condannano a vivere nel terrore».
«Kulluna Giulio Regeni», siamo tutti Giulio Regeni: aveva scritto così Patrick George Zaki sul suo profilo Facebook nel 2016, sposando l' infelice causa del ricercatore friulano che pure non aveva mai incontrato. L'ha ripostato anche la settimana scorsa, in occasione del quarto anniversario dalla morte di Regeni. Ma non è per questo che è stato preso, concordano gli amici: «È che siamo davvero tutti Giulio Regeni, nel senso che quanto è capitato a lui lo conosciamo bene. Random, per fare più paura, possiamo finirci tutti e ci finiamo, anche se poi a noi, spezzati, lasciano tornare a casa».