DAGOREPORT
IL MACBETH DI VERDI ALLA SCALA BY GIANNELLI
Oh Macbeth, il potere dov’è? Solo ieri i palchi della Scala alloggiavano i Faraoni di Milano: sul fondo c'era Arnoldo Mondadori, ed aveva come custodi a destra Angelo Rizzoli e a sinistra Edilio Rusconi. Da quest'altra parte si poteva ammirare Giovambattista Falk e Giovanni Pirelli, là al centro Angelo ed Erminia Moratti, e accanto i Borghi e i Radice Fossati; davanti a tutti troneggiava Annibale Brivio Sforza nel suo ruolo di intercettatore dell'aristocrazia lombarda. Il palco, poi, diventava proscenio all'arrivo dei Crespi, proprietari del Corriere della Sera.
All'inizio del Novecento la città più amata da Stendhal era il "luogo del fare". La vecchia Milano era una Chiesa, tutto era sacro, intoccabile, serio e paziente: la cultura industriale, la nevrosi produttiva, lo slancio dell'efficienza, di nuove energie letterarie, nuove ambizioni artistiche. E la prima della Scala era passerella di una Milano che aveva un grande sogno: essere la "Grande Mela" d'Italia, la New York sui Navigli, la capitale della cultura europea.
Oh Macbeth, il potere dov’è? Dove sono finiti gli Archinto, i Rusca Tofanelli, i Brion? Quella Grande Borghesia che, tra economia e finanza, incarnava i valori assoluti della cosiddetta capitale morale, luogo extra-territoriale di un paese strappato dalle grinfie dei magliari della politica romanesca.
Una volta la prima della Scala calamitava una nomenklatura di stile, selezione, buon gusto formata e capitanata dal patron Ghiringhelli, Camilla Cederna, Wally Toscanini, Ileana De Sabata, Giovanna Lomazzi, Alberto Arbasino e Giovanni Testori; e bastava che la divina Callas, durante una "Traviata" diretta da Visconti, perdesse una scarpetta per far ruggire il vecchio industriale: "La Scala l'è diventata el Circo Togni".
riccardo chailly e sergio mattarella 3
Quella che era la scala santa della milanesità, quindi perdersi nel girone dei palchi scaligeri, scrutare la lista degli abbonati, da sempre simbolo di successo spasimato e di agiatezza realizzata, è definitivamente scomparsa. La lapide è scesa con il pessimo “Macbetto” di Livermore-Chailly, salvato dalla catastrofe solo dalla presenza carismatica di Mattarella al suo ultimo atto.
A troneggiare c’è solo Armani (ma con le nipoti e un grottesco ‘’ombrellino’’ cancellarughe per le foto) e tutti vestono Armani, compresi i fiori, e siccome Armani è tornato quest’anno non avremo l’albero di Natale Dolce e Gabbana. Invidia del pene? Ingiuria dell’uomo superbo? Ma quali sogni possano venire se nemmeno Re Giorgio, il Vetrinista Supremo è riuscito a portare Cate Blanchett o a convincere la diva di riserva Sophia Loren a venire alla Scala? Si è dovuto accontentare di farsi fotografare con l'ignorata modella ungherese Barbara Palvin, ex angelo sbikinato di Victoria’s Secret.
Niente Loren trattenuta nella Valle dei Templi a Luxor e la Vanoni è caduta in treno per colpa di un labrador. Per carità, non si dice Angelina Jolie, ma almeno una Marini chiappona de’ noantri, una Parietti rifatta di seconda mano. Niente. Bisogna sopportare i colpi di fionda che ha voluto Muti, proprio in questi stessi giorni, protagonista nella periferica maison Prada by Koolhaas, e così pure Miuccia era assente nel sottoScala del fiorista Armani.
Non si chiede la presenza del sire di Hardcore, ormai a rischio decomposizione, ma almeno della figlia Marina, editrice della Mondadori-Rizzoli, cioè la più grande casa editrice italica ospite di quel di Segrate. Al solito ha timbrato il cartellino il solito Fedele Confalonieri mangiaregisti. Non si pretende una platea con il Conte Appulo in smoking e il truce meneghino Salvini in lungo, l’Enrico Letta addormentato e le labbra rossettate di Maria Elena Boschi con toy-boy al guinzaglio, ma non si è visto nemmeno un Gianniletta da Roma con signora Margherita, insomma un qualcuno di quelli che frequentavano il potente salotto della Angelillo.
Oh Macbeth, il potere dov’è? Se ci fosse almeno il presidente di Confindustria Bonomi ci si potrebbe dare quietanza; ma dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio di finanzieri dove sono i Descalzi – che è consigliere – i Tronchetti Provera, i Della Valle, i Carlo Messina, la Mediobanca di Nagel, il notaio de Milan Piergaetano Marchetti? E il più importante legale d’affari d’Italia, Sergio Erede? Sono già a Sankt Moritz i Palenzona e gli Abatatessa, padroni del mattone milanese?
E i Moratti, sono tutti a vedere Inter-Real, compresa l’assessora alla Regione Letizia? Qualcuno ha avvistato in platea gli arzilli vecchietti Leonardo Del Vecchio e Franco Caltagirone che sognano ogni notte Mediobanca e Generali? E il “Generale” Donnet? Non pervenuti John Elkann con la Borromeo. Non è lui il potere globale? Non sono i Borromeo che comandavano a Milano? Non è lui che deve comprare Armani? Non è lui la plusvalenza?
luca argentero cristina marino
Tutti timorosi di Omicron, caro Macbeth? Magari aver cassato la cena del dopo-Scala al Giardino, da sempre climax e status della mondanità meneghina, ha fatto passare la voglia a Urbanetto Cairo con il suo direttor Luciano Fontana. C’è solo il direttore Molinari di “Repubblica”, nemmeno Chiara Beria che è già andata a Courmayeur, senza Elisabetta Sgarbi ci fosse almeno una Greta Beccaglia che, con la ressa che c’è nel foyer lì la mano scappa involontaria… Niente: solo le statue di Vespa e della Carlucci a fianco di quella di Rossini scolpita da Pietro Magni nell’Ottocento.
Il ritardo della Legge è evidente, caro Macbeth: c’erano solo Francesco Greco e la Pomodoro, due ex senza il grande ex melomane Borrelli, che ha superato la linea del Piave. Sarà la pandemia che fa stare la farmaceutica Diana Bracco un po’ discosta, forse per non farsi vedere da quel Burioni quando dice “Vorrei essere presto dimenticato”. Sarà fatto.
C’è il nasone di Maurizio Cattelan, quello del dito medio alzato davanti a tutti lor signori davanti alla Borsa, ma non c’è nemmeno un Manfredi Catella con moglie amerikana tra i tanti grattacieli, proprio lui che ottiene cubature che Livermore manco se le sogna! E’ Milano la città distopica; ci fosse ancora quell’Arbasino direbbe una “città senza…”.
Non possiamo, Macbeth, accontentarci di un Bolle bollito o di un Luca Argentero notato solo per le tette sopraelevate della moglie, o di un Arturo Artom qualunque, che dà alla sventura una vita così lunga, perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo, il torto dell'oppressore senza nemmeno uno Sgarbi maschio e femmina a rappresentare la cultura?
Morire, dormire, dormire, forse sognare che ci siano ancora Arbasino e Calasso e poi Daverio e almeno un Gregotti un qualcuno che non “sembran”, come dici nel libretto, altro che “orfanelli”. Ma se non c’è più nemmeno la cena alla Società del Giardino, chi può sopportare i fardelli della musica?
Se Livermore va da Cracco in Galleria attovagliato dal grillozzo Artom, anche le imprese di grande altezza deviano dal loro corso e precipitano come nel sonnabulismo. Con un sonno, allora, poniamo fine al dolore del cuore, Macbeth: è Milano il paese inesplorato dalla cui frontiera nessun viaggiatore ha mai fatto ritorno.