OLTRE IL CASCHETTO BIONDO C'È DI PIÙ – A META' DEGLI ANNI ’60 CATERINA CASELLI LANCIO' “NESSUNO MI PUO' GIUDICARE”, DIVENTATA POI UNA SORTA DI INNO FEMMINISTA – “ALL’EPOCA NON C’ERA QUESTA CONSAPEVOLEZZA NÉ DA PARTE DEGLI AUTORI NÉ DA PARTE MIA” – “NEL 1966 ERO A ISCHIA PER I FANGHI E UNA DONNA, NON GIOVANE, MENTRE MI SPALMAVA IL FANGO SULLA SCHIENA MI DISSE ‘SIGNURÌ, VOI MI PIACEVATE COSÌ TANTO PERCHÉ ERAVATE PREPOTENTE’. IL PIÙ BEL COMPLIMENTO CHE ABBIA MAI AVUTO…”

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Maria Luisa Agnese per https://27esimaora.corriere.it/

CATERINA CASELLI CATERINA CASELLI

 

Nessuno mi può giudicare: già à metà anni ‘60 una canzone poneva la questione dell’equità di genere: la cantava una ragazza con caschetto biondo, Caterina Caselli.

 

Aveva capito che la canzone era vessillo di libertà al femminile?

«Lo è diventata. All’epoca non c’era questa consapevolezza né da parte degli autori né da parte mia, il femminismo come fenomeno di massa era ancora lontano, era piuttosto una affermazione caparbia del diritto di ognuno di “ vivere come può”.

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Credo di essere stata percepita come una sorella vivace, diretta, con le idee chiare sulla libertà. In fondo sono nata nel 1946 quando le donne italiane hanno potuto votare per la prima volta. Sarà un caso o un segno?».

 

Allora come l’ha vissuta?

«In quel fatidico 1966 vivevo come in una bolla felice, mi sentivo amata, avevo tante soddisfazioni, ho raggiunto l’autonomia economica, mia madre non mi osteggiava più. Ero a Ischia per i fanghi e una donna, non giovane, mentre mi spalmava il fango sulla schiena mi disse “Signurì, voi mi piacevate così tanto perché eravate prepotente”.

 

Forse il più bel complimento che abbia mai avuto, una donna che in qualche modo si sentiva riscattata da quella canzone: possiamo anche sbagliare ma nessuno deve giudicarci male».

 

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Le donne hanno saputo comunicare il bisogno di parità?

«Passi da gigante ne sono stati fatti, eppure il tasso di femminicidi è in crescita, ed è spaventoso perché nasconde una idea tribale dei rapporti basata sul possesso. Una parola chiave è: fare sistema».

 

I diritti si ottengono marciando uniti, uomini e donne?

«Senza fare tante storie qui si tratta di rivedere consuetudini e leggi per eliminare ogni differenza nei diritti fondamentali di accesso al lavoro, all’educazione, a una vita libera e auto-determinata… Uomini e donne insieme, il problema riguarda tutti».

 

L’equilibrio con suo marito, Piero Sugar, su cosa era basato?

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«C’è sempre stato rispetto e questo l’ha rafforzata anche nei momenti delicati della nostra vita insieme, che non sono mancati».

 

Prima cosa da fare per le donne?

«Vorrei che ogni donna potesse essere libera di istruirsi, di scegliere la propria religione. A proposito di diritti mi viene in mente una canzone di Andrea Satta, che sintetizza: non è un diritto l’amore, “l’importante è lasciarsi bene, molto più che amarsi follemente, pensando al proprio passato insieme come un dono”».

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