Gian Pietro Fiore per “Giallo”
I quattro addetti alla sicurezza del locale hanno fornito diverse ricostruzioni della vicenda in contraddizione con quanto ricostruito dalle persone sentite e anche in contraddizione tra loro. Questa discrepanza è da spiegare con il tentativo mal riuscito di minimizzare le proprie responsabilità in una situazione in cui, essendo loro sfuggito di mano il corso degli eventi, hanno partecipato alla rissa”.
A scrivere queste parole sono gli inquirenti che indagano sull’omicidio di Emanuele Morganti, il ragazzo di 20 anni massacrato il 25 marzo scorso durante una rissa scoppiata fuori dal locale “Mirò” di Alatri, in provincia di Frosinone. Il giovane è morto dopo 36 ore di agonia a causa delle botte ricevute da un branco di aggressori e, come avete appena letto, anche dai buttafuori del locale, che invece avrebbero dovuto proteggerlo. Due degli aggressori sono già stati arrestati e chiusi in carcere.
Si tratta di Mario Castagnacci, 26 anni, e Paolo Palmisani, 20 anni, fratellastri nati dalla stessa madre. Gli altri sono indagati. Si tratta del padre di Mario Castagnacci, Franco, 50 anni, del fratello di Paolo Palmisani, Patrizio, 25, e di quattro buttafuori che quella sera lavoravano al locale: Pietri Xhemal, 32enne albanese, Damiano Bruni, 26 anni, Manuel Capoccetta, 28, e Michael Ciotoli, 26enne con precedenti per “stupefacenti, porto di oggetti atti a offendere, rapina, ricettazione e ricettazione di armi da sparo”.
Gli inquirenti, come dicevamo, sono convinti che anche i quattro buttafuori abbiano avuto serie responsabilità nel delitto. Uno in particolare potrebbe aver avuto un ruolo determinante nell’omicidio. Si tratta di Damiano Bruni. Numerosi testimoni della rissa, infatti, lo hanno visto brandire un manganello, con cui avrebbe colpito Emanuele. Ebbene, proprio un manganello potrebbe essere l’oggetto che ha fatto definitivamente crollare a terra, moribondo, il povero ragazzo.
L’autopsia sarà consegnata tra due mesi, ma il medico legale ha anticipato che il colpo mortale è stato quello alla testa. Una ferita di 9,5 centimetri che si è ulteriormente aggravata perché Emanuele è caduto contro un’auto in sosta, picchiando violentemente la testa. Il colpo mortale, dunque, potrebbe essere stato inferto proprio con un manganello. C’è un’alternativa, però: la ferita è compatibile anche con una chiave di ferro, quella che aveva in mano Paolo, il fratellastro già in prigione. Solo ulteriori accertamenti scientifici stabiliranno la verità.
gianmarco ceccani amico di emanuele morganti
Ma c’è un’altra persona che potrebbe aver avuto un ruolo importante nella vicenda. Tra gli indagati, infatti, come avete potuto leggere, c’è anche Franco Castagnacci, il padre di Mario, uno dei due fratellastri in prigione.
C’ERA DEL SANGUE DENTRO AL LOCALE
L’uomo, pur non in veste ufficiale, si occupava anche della sicurezza del locale. Ebbene, secondo diversi testimoni, quella sera Franco, anziché difendere il povero Emanuele, avrebbe addirittura incitato il figlio Mario a finirlo. Molte persone infatti lo hanno sentito urlare: “Vai, uccidilo!”.
i quattro buttafuori del miro di alatri
Lui, soprannominato “Bell’armi” per la sua abitudine a maneggiare pistole e fucili, ora è difeso dall’avvocato Marilena Colagiacomo e nega tutto: «Sono intervenuto solo per cercare di calmare gli animi. Io stesso sono stato colpito alla schiena con un oggetto. Non ho visto chi mi ha colpito e non ho visto l’oggetto con cui mi hanno aggredito. Ma assicuro che non ho partecipato alla rissa. Non ho aggredito Emanuele».
emanuele morganti con la famiglia
Noi di Giallo, però, abbiamo saputo qualcosa di davvero inquietante: a sei giorni dalla tragedia, infatti, Franco Castagnacci è andato in ospedale per farsi medicare alcune ferite riportate proprio la sera del delitto. Questo particolare è importantissimo perché i carabinieri dei Ris hanno isolato dentro al “Mirò” alcune tracce di sangue che non sono di Emanuele. Per gli inquirenti quel sangue potrebbe essere di uno degli aggressori che nel fare a pugni è rimasto ferito. È forse il sangue di Franco Castagnacci? È lui che ha iniziato il pestaggio, all’interno del “Mirò”?
Che Emanuele sia stato picchiato già all’interno del locale, d’altra parte, è un fatto assodato: lo hanno testimoniato molte persone agli inquirenti. Leggiamo cosa ha detto, ad esempio, Ketty Lisi, la fidanzata del povero Emanuele: «Verso le 02.10 io e il mio ragazzo eravamo intenti a consumare un drink al banco. A un tratto si è avvicinato un ragazzo ubriaco, il quale mentre ballava al centro della sala dava fastidio un po’ a tutti. Questo ragazzo si è avvicinato al bancone e ha cominciato a dare fastidio alla ragazza del bar per poi avvicinarsi al mio ragazzo spintonandolo.
LA DINAMICA DELL OMICIDIO DI EMANUELE MORGANTI
Il mio ragazzo ha reagito e lo ha allontanato. Subito è intervenuto in suo aiuto un suo amico straniero il quale lo ha aggredito con calci e pugni, immediatamente vedevo che interveniva un ragazzo del personale “buttafuori” vestito di scuro il quale ha cominciato da prima a dividere il mio ragazzo dagli aggressori per poi urlare la frase: “al banco, al banco!” per far intervenire altro personale.
L’aggressione è degenerata: ho visto che invece di dividere i litiganti hanno cominciato a picchiare con calci e pugni il mio ragazzo costringendolo in un angolino vicino a una colonna dove l’ho visto accasciato a terra e poi lo hanno portato fuori dal locale con la forza». Ecco invece la testimonianza di Marco Morganti, il cugino di Emanuele: «All’esterno ho notato un gruppo di persone tra cui ho riconosciuto Emanuele, Mario Castagnacci, Paolo Palmisani, i buttafuori del locale e una persona un po’ più anziana con un maglione bianco che successivamente ho saputo essere Franco Castagnacci, padre di Mario. Emanuele aveva la maglia strappata e un po’ di sangue che gli usciva dalla bocca. Paolo Palmisani ha iniziato a colpire Emanuele con uno schiaffo in faccia. Subito dopo Mario Castagnacci colpiva Emanuele con un altro schiaffo. Ricordo di aver visto Emanuele scappare verso la parte alta della piazza, lungo il muro che delimita la piazza».
PALMISANI DICEVA: “MO’ CI PENSO IO...”
Un’amica di Emanuele, Sofia, fa mettere a verbale: «Fuori dal locale, Emanuele chiedeva ai quattro buttafuori perché lo avessero allontanato, perché non era lui che dava fastidio all’interno del locale. Ne scaturiva una rissa che iniziava dapprima tra Emanuele e i quattro buttafuori ai quali poi immediatamente si aggiungevano Mario Castagnacci, il padre Franco e altre persone che prendevano parte alla rissa di cui non so indicare il nome.
Notavo il Palmisani che si trovava fermo nei pressi del luogo dove mi trovavo io, che parlando da solo diceva testuali parole: “Ah sì, mo’ ci penso io”. Poi si allontanava, si dirigeva presso le scalette che portano in via Circonvallazione e dopo un brevissimo lasso di tempo transitava nuovamente davanti a me con in mano un ferro a forma di Elle e correndo si dirigeva nel punto dove Franco, Mario Castagnacci e i quattro buttafuori e le altre persone che non conosco stavano aggredendo Emanuele e chi era con lui, per prendere parte alla rissa».
Alla luce delle indiscrezioni trapelate dall’esame autoptico, cioè che la morte di Emanuele è stata determinata da un colpo alla testa, forse di un manganello, fa impressione quanto accertato dagli inquirenti e trascritto negli atti di indagine: «A un certo punto grazie all’intervento dei suoi amici, Emanuele Morganti riusciva a sganciarsi dai buttafuori, ma veniva colpito da Palmisani e successivamente da Castagnacci. Tale situazione lo costringeva a guadagnare l’uscita della piazza. Qui però veniva nuovamente raggiunto da un gruppo di persone tra cui il Palmisani, Mario e Franco Castagnacci, nonché da qualcuno non meglio indicato del servizio d’ordine.
Morganti veniva nuovamente fatto oggetto di percosse da parte di un non meglio indicato membro del servizio della sicurezza locale che lo colpiva con un manganello, nonché da Castagnacci e Palmisani, il quale si era armato di una chiave tubolare di quelle che si usano per sbullonare le ruote delle auto».
Quelli sono gli ultimi istanti di vita di Emanuele, che il suo amico Gianmarco Ceccani ricorda a verbale: «Volevo proteggere Emanuele. Franco Castagnacci mi ha bloccato placcandomi e dicendomi che mi sarei fatto del male. Ho visto un gruppo, formato da una decina di ragazzi, che inseguiva Emanuele. A quel punto qualcuno da dietro colpiva Emanuele con un pugno nella parte posteriore della testa. Emanuele perdeva l’equilibrio cadendo in avanti e sbatteva la testa contro il cofano di una macchina.
Emanuele rimbalzava a terra e cadeva esanime». Marco Morganti, ricordando gli ultimi momenti, fa scrivere ai carabinieri: «Emanuele era a terra privo di conoscenza. Subito dopo è arrivata la pattuglia dei carabinieri. Da subito era chiaro che fosse grave perché non rispondeva, respirava a fatica, si mordeva la lingua e perdeva sangue dalla bocca. Più o meno erano le 2,10 di notte». Questa l’ora che segna l’inizio della fine di un bravo ragazzo, morto senza un perché.
Emanuele Morganti con la fidanzata
ERANO STATI ARRESTATI IL GIORNO PRIMA
Mario Castagnacci, la sera prima della rissa, era stato fermato insieme con altri tre amici dai carabinieri della Stazione San Pietro durante un’operazione antidroga a Roma. Per lui era scattato l’arresto. Il giorno dopo, però, il gip di Roma pur convalidando gli arresti li aveva rimessi in libertà, senza richiedere l’osservanza di nessun tipo di obbligo.
E senza tener conto che proprio Mario nel 2011 era già stato trovato in possesso di 5 chili di hashish, aveva trascorso un anno in galera e ha tuttora un procedimento in corso sempre per traffico di stupefacenti. Sul comportamento del giudice del Tribunale di Roma ora vuole vederci chiaro il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Anche il Csm, cioè l’organismo che controlla il comportamento dei giudici, potrebbe aprire una pratica sul magistrato.
I due arrestati, dopo aver compiuto il delitto, non paghi della bravata, sono andati in un locale di Frosinone, lungo la statale Monti Lepini, a vantarsi della loro azione criminale, dicendo: «Abbiamo massacrato uno che ci aveva risposto male». Ma nel corso dell’interrogatorio, di fronte al giudice, hanno fatto scena muta. Solo Mario, che quando non commetteva reati faceva il cuoco in un ristorante, il giorno prima dellinterrogatorio ha parlato al procuratore capo della Repubblica di Frosinone, Giuseppe De Falco, e gli ha detto: «Ero in piazza quella sera, ma non ho partecipato alla rissa». I due però non sono credibili, né quando parlano né quando decidono di non rispondere: per questo il giudice ha deciso che devono restare in carcere. Ma potrebbero non essere i soli: presto altri delinquenti potrebbero seguirli in galera.
EMANUELE MORGANTI LA MORTE DI EMANUELE MORGANTI - PAOLO PALMISANI E MARIO CASTAGNACCI FUNERALE DI EMANUELE MORGANTI La morte di Emanuele Morganti - Xhemal Pjetri ALATRI - LA MORTE DI EMANUELE MORGANTI LA MORTE DI EMANUELE MORGANTI - PAOLO PALMISANI CORTEO IN MEMORIA DI EMANUELE MORGANTI LA MORTE DI EMANUELE MORGANTI - MARIO CASTAGNACCI LA MORTE DI EMANUELE MORGANTI - RICOSTRUZIONE EMANUELE MORGANTI EMANUELE MORGANTI EMANUELE MORGANTI Il locale di Alatri dove e stato ucciso Emanuele Morganti LA DISCOTECA DOVE E STATO UCCISO EMANUELE MORGANTI EMANUELE MORGANTI EMANUELE MORGANTI EMANUELE MORGANTI EMANUELE MORGANTI EMANUELE MORGANTI