IL VIDEO DELLE TORTURE (PER UN PUBBLICO ADULTO)
Giampaolo Cadalanu per “la Repubblica”
Frustate, scosse elettriche e schiaffi a un ragazzino appeso per le braccia e accusato di complottare contro quello che si definisce Stato Islamico. E niente pietà, quando la vittima invoca la mamma, come farebbe qualsiasi adolescente terrorizzato nel mondo, e parecchi adulti. Anzi, i volenterosi carnefici di Al Baghdadi mettono via il bastone un momento per rimproverarlo, prima di aumentare il voltaggio delle torture: non deve coinvolgere la madre nei suoi vergognosi comportamenti.
Le sevizie al giovanissimo Ahmed, di cui alcuni spezzoni video sono pubblicati sul sito della Bbc, sono opportunamente precedute da un avviso dell’emittente britannica: attenzione, contiene immagini cosiddette graphic , cioè crude, impressionanti. In realtà ciò che impressiona, ancora una volta, non sono gli abusi, ma la tranquillità di chi alza le mani su un bambino spaventato. È quella pace dei sentimenti di chi non si mette in discussione, la “banalità del male” di Hannah Arendt inquadrata attraverso lo schermo di un telefonino come fosse la normalità.
La versione ufficiale parla di un filmato portato fuori dal territorio dei fondamentalisti grazie a un disertore. Anche se fosse vero, a guardare le riprese si capisce che non erano clandestine: i protagonisti delle sevizie sapevano di essere filmati. Dunque quel video era un souvenir, qualcosa di cui poi vantarsi con gli amici. Il parallelo con le foto-ricordo dei militari americani ad Abu Ghraib è spontaneo. Ma in quel caso Donald Rumsfeld — ministro della Difesa che nessuno definirebbe «una colomba» — si era affannato a cercare di fermare la diffusione delle immagini. Nel caso dell’Is, invece, pare di capire che l’intenzione sia sfoggiare quanta più ferocia possibile, con livelli di disumanità che possono solo peggiorare.
Nemmeno lo spaurito Ahmed, intervistato dalla Bbc, riesce a capirlo: «Ma come? Si dicono musulmani, ma sono i primi a violare i precetti dell’islam », si chiede il ragazzo, 14 anni. Ahmed, venditore ambulante di pane a Raqqa, in Siria, alla disperata ricerca di qualche soldo, racconta di essere rimasto coinvolto nella repressione perché scelto da due sconosciuti per «portare una borsa», che ovviamente conteneva esplosivo, vicino a un gruppo di militanti dell’Is. Fermato prima ancora di iniziare l’azione, il ragazzo ammette di avere «raccontato subito tutto ».
Evidentemente però c’era bisogno di una sentenza esemplare, tanto che i miliziani di Al Baghdadi lo hanno condannato a morte. La catena dell’orrore si è interrotto solo quando l’uomo incaricato di giustiziarlo ha percepito appunto la propria umanità di fronte al ragazzino. E ha deciso di farlo scappar via. Ahmed è riuscito a rifugiarsi in Turchia, ma l’esperienza vissuta continua a inseguirlo: «Rivivo quelle torture, non riesco a dormire, e quando dormo il sonno è una serie di incubi».
accusato di essere una spia siriana
Ma non è il solo: i fondamentalisti hanno in pieno svolgimento una campagna per il progetto “Leoncini per il Califfato”, una sorta di reclutamento coatto di bambini e adolescenti. L’agenzia Anadolu parla di 400 minori rapiti dalla provincia di Al Anbar per farne bambini soldato o kamikaze, un altro centinaio di piccoli “aspiranti martiri” sarebbero stati reclutati nella provincia di Dyala.
Insomma, se apparentemente non ci sono nemmeno tentativi di tenere segrete queste atrocità, è palese che il marchio di ferocia estrema è una strategia di comunicazione ben precisa degli integralisti. La minaccia viene presa sul serio anche dalle cancellerie occidentali: oggi si parlerà di Califfato alla riunione dei ministri degli Esteri a Parigi, con John Kerry infortunato in collegamento telematico. E il sedicente Stato Islamico ha ormai raggiunto dimensioni ragguardevoli: 300 mila chilometri quadrati fra Siria e Iraq, un’area grande quanto l’Italia.