Maria Novella De Luca per “la Repubblica”
Troppo figli e poco adulti. Drammaticamente “neet”. Assediati da disoccupazione e povertà. Precari e senza casa. Però, anche, cosmopoliti, colti, pronti a viaggiare, refrattari al matrimonio ma non certo all’amore, surfisti del mondo delle Reti, distanti dalla politica ma non dalla solidarietà.
L’Istat racconta quanto è difficile essere giovani oggi in Italia per i figli dell’euro e dell’Erasmus, coppie ma non famiglie (ci si sposa a 34 anni) con la voglia di essere genitori ma senza il coraggio di diventarlo. Prime generazioni con un’istruzione universitaria di massa, eppure a tre anni dalla laurea soltanto il 72% ha un lavoro e quasi sempre precario.
E dunque disposti, nel 42% dei casi, ad emigrare all’estero come i loro bisnonni pur di sopravvivere. È qui, nella descrizione dei Millennials e della “Generazione delle Reti”, i ventenni e i trentenni, il cuore del nuovo Rapporto Istat, a novant’anni dalla nascita dell’istituto di statistica.
Una storia in cifre “condensata” in sei generazioni, a partire dal 1926, da quella definita della Ricostruzione, e poi dell’Impegno, dell’Identità, della Transizione, del Millennio e delle Reti. Novant’anni attraverso, anche, quattro simboliche storie al femminile, da Maria, classe 1926, a Giulia, venuta al mondo nel 2015.
In mezzo la guerra, il baby boom, il benessere, e poi la crisi, che le ultime generazioni stanno vivendo sulla loro pelle. E se la storia d’Italia viene declinata al femminile, le donne però continuano a guadagnare meno degli uomini, (l’occupazione è al 47%) e su di loro pesa, quasi totalmente. il “lavoro di cura”.
Questo nonostante le ragazze Millennials e le ragazze delle Reti abbiano un grado di istruzione mai raggiunto prima, con votazioni assai più alte dei loro coetanei, e siano le prime a gareggiare con i maschi nelle professioni scientifiche.
Del resto, sottolinea l’Istat, la laurea si conferma un paracadute, sia sul fronte del lavoro che della speranza di vita. Se infatti tra i laureati il calo del tasso di occupazione è stato meno grave rispetto a quanto accaduto ai diplomati, le cifre sottolineano che chi studia vive più a lungo.
Perché istruzione vuol dire, anche, prendersi cura di sé. I numeri confermano la denatalità, il figlio unico resta sovrano. Eppure nonostante i bambini siano sempre di meno nel nostro paese, i dati sulla povertà dei minori sono drammatici. Il tasso di “povertà relativa” era dell’11% nel 2011, è salito al 19% nel 2014. Cosa vuol dire? Significa che questi bambini mangiano male, hanno i denti malati, non fanno sport, e sono gli ultimi a scuola. Sono, insomma, i nuovi “esclusi”.