Massimo Credito per “la Verità”
papa francesco bergoglio e il cardinale parolin
Massimo Franco è un giornalista bene informato. Ha cominciato la sua carriera ad Avvenire, il giornale dei vescovi. Questo spiega perché, pur utilizzandolo di norma come notista politico, il Corriere della Sera faccia commentare a lui i fatti più scottanti che riguardano la Chiesa. Ieri si è esibito con un documentato retroscena riguardante il nuovo scandalo scoppiato in Vaticano (in ballo ci sarebbero operazioni finanziarie illecite e 200 milioni di euro investiti a insaputa di papa Francesco su un edificio di lusso nel cuore di Londra).
L'articolo di Franco si concludeva così: «Quanto al segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, sembra che fosse all'oscuro di tutto, anche perché ha sempre preferito lasciare ad altri la gestione degli affari economici. Tra l'altro, sarebbe stato informato da papa Francesco soltanto a poche ore dal blitz: un dettaglio che conferma la scarsa comunicazione tra Francesco e il suo "primo ministro", e contribuisce ad alimentare le voci su un disagio crescente di Parolin».
papa francesco bergoglio e il cardinale parolin
Quello che Franco non sa (oppure sa ma non scrive) è il retroscena bomba che si nasconderebbe dietro questo «disagio crescente»: papa Bergoglio si appresterebbe a «degradare» il cardinale Parolin a semplice pastore d' anime, mandandolo come patriarca a Venezia.
La clamorosa indiscrezione circola con insistenza sia in Vaticano sia negli ambienti della Conferenza episcopale italiana. Difficile capire quali potrebbero essere i motivi all' origine della rottura del rapporto fra il Papa argentino e l' ex nunzio apostolico in Venezuela, cioè fra il numero uno e il numero due della Santa sede. I più benevoli sostengono che sia stato lo stesso Parolin a implorare Sua Santità di non rinnovarlo nel gravoso incarico affidatogli il 30 agosto 2013. Non è un mistero che il porporato stesso vada auspicando da tempo la sua destinazione alla cura delle anime, più che al disbrigo degli affari di Stato e delle incombenze della Curia romana.
A favore della scelta di Venezia giocherebbero un fattore affettivo e uno sanitario.
Ada Miotti, la madre di Parolin, avrebbe espresso il desiderio di avere accanto il figlio almeno nel suo ultimo tratto di vita. La signora, ex maestra elementare, ha 92 anni e da qualche tempo ha lasciato Schiavon (Vicenza), dove ha sempre vissuto, per andare ad abitare in provincia di Verona presso una figlia coniugata. Da casa sua a Venezia sono appena 120 chilometri, contro gli oltre 500 che attualmente la separano dal figlio cardinale.
CARDINAL PAROLIN NARDELLA CARRAI AL FESTIVAL DELLE RELIGIONI
Il motivo sanitario si spiega con i postumi di un delicato intervento al pancreas che il porporato subì nella divisione di chirurgia epatobiliare dell' ospedale di Padova, diretta dal professor Umberto Cillo, proprio in coincidenza con la nomina a segretario di Stato, tanto che poté assumere l' incarico soltanto 45 giorni dopo. Le sue condizioni di salute gli precluderebbero ora di continuare a girare il mondo. Molto meglio risiedere vicino al primario che gli salvò la vita. E da Venezia a Padova sono appena 40 chilometri.
A meno che all' origine della retrocessione da segretario di Stato a patriarca non vi sia un disegno gesuitico, cioè machiavellico, di Bergoglio. È noto che nel curriculum di Parolin vi sono soltanto incarichi diplomatici.
Gli manca totalmente un' esperienza pastorale. Quella nella diocesi di Venezia lo renderebbe idoneo al papato in un futuro conclave. Di certo su di lui si appunterebbero gli sguardi dei cardinali elettori italiani nel caso in cui la loro scelta si orientasse, dopo tre pontefici stranieri, su un connazionale. E quale modo migliore per Francesco di continuare a governare anche da morto attraverso un proprio fedelissimo?
CARDINAL PAROLIN NARDELLA AL FESTIVAL DELLE RELIGIONI
Insomma, un «promoveatur ut amoveatur» alla rovescia, che dal 1600, da quando esiste la figura del segretario di Stato, forse ha avuto un solo precedente alla fine del 1954, quando papa Pio XII nominò il pro segretario di Stato Giovanni Battista Montini arcivescovo di Milano (senza mai crearlo cardinale), anche se mantenne l' altro pro segretario di Stato, il cardinale Domenico Tardini, certo in un contesto totalmente diverso.
L' esito comunque fu analogo: Montini divenne pontefice cinque anni dopo con il nome di Paolo VI.
Ora il diplomatico Parolin sarebbe avviato a seguire le orme di Angelo Giuseppe Roncalli, che dopo le esperienze di nunziatura in Bulgaria, in Turchia e in Francia, entrò in conclave da patriarca di Venezia per uscirne papa con il nome di Giovanni XXIII. Ma sullo sfondo vi è anche una necessità ben più urgente, per papa Bergoglio. Venezia è da sempre sede cardinalizia e i fedeli dell' ex Serenissima non possono essere umiliati ancora a lungo lasciando al governo della diocesi un semplice vescovo.
Tanto più che l' attuale patriarca, Francesco Moraglia, è chiacchieratissimo per il modo in cui ha sin qui gestito la missione affidatagli. Ormai non si contano più le velenose insinuazioni spedite via mail ai giornali, ma propalate anche con avvisi affissi nottetempo in calli e campielli, che un anonimo Savonarola, il quale si firma «Fra Tino», scaglia contro «le due lobby che comandano nel patriarcato, quella affaristica e quella omosessuale».
Tanto da aver costretto il pastore della diocesi a sporgere denuncia in questura. Meglio correre ai ripari con un cambio della guardia, prima che la situazione degeneri.
L' ultima rivelazione riguarda un ordine per un set di paramenti liturgici che sarebbe giunto dal Vaticano mesi fa, a una sartoria dell' entroterra lagunare, per un' importante cerimonia «che si terrà in autunno». Quella del segretario di Stato retrocesso a patriarca?