Stefano Zurlo per "il Giornale"
Si presenta vestito di scuro. Scuro scuro, anzi nero dalla punta dei piedi al cappello di lana che non si toglie mai. E allora ti afferra il sospetto che quel ragazzo di trentaquattro anni sia ancora imprigionato nei fumi e nelle visioni tenebrose della prima vita. Quella entrata nelle cronache giudiziarie per l'appartenenza alle Bestie di Satana, la feroce cooperativa di serial killer che funestò la Lombardia dalla metà degli anni Novanta al 2004. Ma poi lui comincia a parlare, con eloquio educato e insieme torrenziale, e ti accorgi subito che Massimiliano Magni osserva il proprio passato come un puntino lontano. Lontanissimo. Quasi fosse la terra vista dalla luna.
«Ero minorenne, avevo 17 anni, anche meno. Suonavo la chitarra nei Ferocity con Mario Maccione e Fabio Tollis. Erano i miei migliori amici. Era rock estremo, rock satanico, death metal, quello che volete, ma era solo musica, anche se infarcita di farneticazioni contro Dio, il clero e la Chiesa». E anche se ai concerti come scenografia esponevano tranquillamente lapidi strappate nottetempo nei cimiteri della Lombardia.
Per la cronaca Fabio Tollis e la sua amica Chiara Marino vengono uccisi a colpi di piccone e sepolti nella boscaglia due passi dalla Malpensa il 17 gennaio 1998 ma di loro non si saprà più nulla per sei lunghissimi anni. Finché il 24 gennaio 2004 un altro delitto, quello di Mariangela Pezzotta, porta a galla tutta la storia demoniaca e la «cooperativa» finisce in carcere. In cella entrano pure Maccione, il medium del gruppo cui apparivano le divinità notturne dai nomi esotici come Noctumonium, Gelimero o Mortifugo, e Magni.
«È stato un periodo davvero duro, durissimo. Sono stato nove giorni a Busto a pane e acqua. Volevano che confessassi, ma io non potevo confessare quel che non avevo commesso. Certo, avevo capito che quei miei amici erano un concentrato di energia negativa, presentivo che potesse accadere qualcosa di negativo ma un conto è intuire, altra cosa è sapere. E condividere e darsi da fare per aggiungere male al male».
I giudici la pensano diversamente. Alla fine di un estenuante tira e molla, una lotteria di assoluzioni e condanne, Magni viene stangato: 7 anni e mezzo di carcere per concorso morale nel massacro di Fabio e Chiara. «Concorso morale - spiega il suo avvocato Eleonora Ferrillo - vuol dire che non ha cercato di fermare la mano degli assassini». «Mi hanno paragonato a Ponzio Pilato - aggiunge Magni - dicono che io avrei una mente lucida, fredda, spietata. Ma non è vero e la mia sola colpa è l'avere respirato quel clima intossicato».
Sono passati dieci anni dalla scoperta di quella tragedia collettiva e inquietante con i figli della piccola e media borghesia lombarda trasformati in mostri spiritati, con la bava alla bocca. Oggi Magni, sempre sorretto dalla famiglia e dal padre, affermato professionista, non assorbe più quelle energie sotterranee, provenienti da chissà quale abisso di sconvolgimenti interiori. No, oggi il suo è un mondo altrettanto irreale e fantastico, ma le ombre della notte, citazione retorica ma necessaria, lo hanno abbandonato.
Ora la mente fervida di quel folletto inafferrabile dà vita a tanti personaggi eccentrici, per metà buoni e per metà cattivi che raccontano l'eterna lotta fra il bene e la libertà attraverso un'interminabile produzione di romanzi, pièce teatrali, opere varie. Anche liriche perché l'officina dello straripante autore è una miscela perfetta di parole e musica. «Produco a ritmo serrato, scrivo, compongo, assemblo, mescolo storie diverse con re, guerrieri, antieroi».
Centinaia di cartelle, che spaziano da un genere all'altro, in attesa dell'editore giusto. E magari, perché no, del colpo di fortuna per tentare il salto di qualità. Sorride divertito: «In realtà la scrittura mi ha sempre aiutato a vivere. Dopo l'esperienza scioccante della galera a Busto ho ripreso la vita di sempre. Anche se sapevo che sulla mia testa pendeva la spada di Damocle di quell'etichetta terribile: le Bestie di Satana. Anche se già dal '98, dalla scomparsa di Chiara e Fabio, avevo tagliato i contatti con quel mondo e non avevo più sentito Maccione.
E poi il ritorno alla normalità per me era stato molto più facile perché non mi ero mai drogato, nemmeno nei momenti in cui gli altri, tutti gli altri, si facevano con qualunque sostanza. Io no, perché ero una punta, ala destra di qualche speranza, crescevo nel vivaio dell'Atalanta, mi sottoponevo a continui controlli del sangue».
Col tempo, Magni scopre la sua vocazione artistica: autore, regista, compositore e pure tecnico del suono. «Può sembrare incredibile, ma per mantenermi facevo il ghost writer di alcuni avvocati. Preparavo le loro arringhe e per questo i penalisti si affidavano a me per perorare l'assoluzione di tossici e rapinatori. Io facevo assolvere gli altri, intanto andavo incontro alla condanna definitiva dopo essere stato a un passo dalla definitiva assoluzione».
Nel 2011 l'altalena lo scaraventa in cella. A scoppio ritardato. «Quando sono arrivato a Bollate, l'educatore mi ha detto: “Tu sei già rieducato. Che cosa puoi fare per noi?”. Ho cominciato ad animare l'ora di lettura, trasformandola in un laboratorio teatrale. E così ho trascinato verso la scrittura creativa venti o trenta detenuti, ma intanto ho sperimentato le mie qualità, mettendo insieme testi in cui raccontavo le vite dei migranti provenienti dai quattro angoli del mondo e riuniti là dentro». I sette anni e mezzo passano in fretta. Tre sono abbuonati dall'indulto, alcuni mesi scivolano via con la pena soft dell'affidamento ai servizi sociali. Dal maggio scorso Massimiliano Magni è un uomo libero. E può inseguire la sua creatività ormai affrancata dalla contaminazione con gli inferi.
«Quel passato lontano non mi appartiene, gli sono estraneo. Però, per evitare cortocircuiti, imbarazzi e domande di troppo mi sono dato un nome d'arte che qui svelo per la prima volta: Max Morghuer», È Max Morghuer che crea libri, romanzi e opere. «L'anno prossimo dovrei portare un mio dramma a Palermo in un teatro importante. Ma già adesso in una sala della periferia milanese stiamo provando un nuovo testo con una compagnia ben assortita. Fra i miei attori c'è per esempio Marco Marzari, l'avvocato che ha difeso le tante vittime di Wanna Marchi».
Curioso. La seconda vita di Massimiliano Magni sembra seguire un itinerario che incrocia ancora tribunali e penalisti. Ma le coincidenze si fermano qui. Suggestioni o poco più. La sentenza della Cassazione, quel marchio maligno impresso a caratteri indelebili, pesa. Eccome. Ma Magni non si arrende e lavora. «Il mio nome, è ovvio, è ingombrante, molto ingombrante. E allora le posso dire che mentre accumulo pezzi e prove di scrittura, mi impegno ancora per altri». Ancora ghost writer in attesa di un domani che forse verrà o forse no. «Ci sono un paio di autori importanti, di un certo successo, targati Mondadori, che mi devono buona parte delle loro performance. Così loro pubblicano e la gente li trova sugli scaffali dei centri commerciali».