C. Man. per “il Messaggero”
È morto ieri in una clinica di Roma, dove era ricoverato da qualche settimana, Mario Sarzanini, il decano dei giornalisti della cronaca giudiziaria capitolina. Nato a Genova il 29 aprile del 1934, Sarzanini ha lavorato per 40 anni all'Ansa. Ha seguito le maggiori vicende di cronaca del nostro paese, quelle che hanno fatto la storia. Ed è stato un maestro per chiunque volesse diventare un cronista giudiziario.
Era il primo ad arrivare nella sala stampa del Palazzo di giustizia della Capitale ed era l'ultimo ad andarsene. Impossibile ricordare tutte le indagini che lo hanno visto in prima linea: il massacro del Circeo, l'assassinio di Pier Paolo Pasolini, il terrorismo, il delitto di Mino Pecorelli, la strage di Ustica, l'attentato al Papa, il sequestro di Mirella Gregori e di Emanuela Orlandi. E poi i grandi gialli: dal Canaro ai delitti di via Poma e dell'Olgiata, dall'agguato a Ilaria Alpi all'omicidio di Marta Russo.
Un elenco che potrebbe continuare all'infinito. Era di poche parole, Mario, e a chi non lo conosceva bene poteva sembrava anche un po' burbero. Ma dopo una iniziale diffidenza diventava sempre molto disponibile, non aveva problemi a presentare le sue fonti (e che fonti) a quei cronisti che riuscivano a conquistare la sua fiducia. Guai, però, a tentare di bucarlo, a cercare di dare una notizia che non aveva. La risposta sarebbe stata implacabile. E così è stato fino a quando ha compiuto 80 anni.
È rimasto sempre un cronista di razza, in cerca dello scoop migliore, animato da una passione che ha trasmesso alla figlia Fiorenza, vice direttore del Corriere della Sera, al figlio Enrico, cronista sportivo, e a Roberta (ufficio stampa per conto di società e liberi professionisti). Aveva una collezione unica, Mario, la chiamava Le perle: articoli e titoli spesso surreali usciti sui giornali italiani. Li raccoglieva come le figurine e poi ci si rideva su durante quei pochi momenti di relax vissuti nella sala stampa del più grande Tribunale d'Europa.
Per decenni è stato il punto di riferimento per colleghi, magistrati, avvocati e cancellieri. Li riceveva nello stanzone in fondo al corridoio del piano terra delle aule di giustizia che considerava come la sua redazione. È stato lui a rappresentare la categoria, nel 1970, quando questo piccolo locale venne inaugurato per ospitare i cronisti dopo i crolli del Palazzaccio di piazza Cavour.
GLI INSEGNAMENTI Chi aveva il privilegio di poterlo affiancare imparava in breve tempo i segreti di questo lavoro e i trucchi per sopravvivere in un ambiente difficile come quello del palazzo di giustizia. Erano le notizie a scandire la sua giornata. «A casa mi annoio - ripeteva ai colleghi -, non so che fare». Ha lasciato la sua postazione nel 2017, poco tempo dopo la morte di un collega dell'Ansa, Francesco Tamburro, che Mario considerava una sorta di figlio professionale per averlo fatto crescere e maturare per oltre 25 anni nella cronaca giudiziaria. Un dolore che lo ha davvero piegato. Mario lascia una famiglia molto unita, guidata dalla moglie Luciana che lo ha assistito con amore e dedizione fino alla fine.
rino barillari e fiorenza sarzanini