Gianmarco Aimi e Massimo Pisa per “la Repubblica”
«La morale? Andare a lavorare. Studiare. E non fare male a nessuno». Singhiozza, Dorel Jucan, quando pensa a cosa racconterà un giorno alle figlie, di questa storia maledetta. Incisi sulla pelle gli squarci delle fucilate di Angelo Peveri sono indelebili. Piange e trema anche la moglie Viorica, nello studio dell' avvocato Andrea Tomaselli, dove li incontriamo. Dice la signora che nel piacentino, quando cammina, si guarda in giro. Di tifosi dell' imprenditore con la doppietta, o di Salvini, è pieno. E chissà…
E lei, signor Jucan, come sta? È arrabbiato per il sostegno del ministro a chi le sparò a sangue freddo? È spaventato?
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«Spaventato, sì, e addolorato. Non pensavo si arrivasse a questo punto. Con tutte le persone che dicono che è giusto avermi sparato, non vedo perché uno di loro non dovrebbe aspettarmi sotto casa, o spaccarmi i vetri».
Cominciò la sera del 5 novembre. La racconti.
«Ero andato, anzi, eravamo andati in tre, per prendere del gasolio».
Per rubarlo. È un reato.
ANGELO PEVERI (SECONDO DA SINISTRA) CON IL FIGLIO LUIGI E I SOCI
«Sì. Per uso personale, però. Non per farci business. Ero rimasto a lungo senza lavoro, ne avevo trovato uno a sessanta chilometri. Con lo stipendio e le spese che avevo, non ce la facevo.
Era la prima volta, giuro. Mai più».
Quella notte lo fece.
«È successo quello che è successo. Abbiamo trovato due escavatori e abbiamo aperto il coperchio del serbatoio. Dopo 5-10 minuti arriva un' auto. Fermata brusca. Sbattono forte le portiere. Sentiamo due spari. Pensiamo che vogliono spaventarci e scappiamo verso il fiume, il Tidone, lì vicino. La macchina scende dal ponte, a fari spenti. Ci urlavano "fermatevi". Mi ricordo della macchina parcheggiata torno indietro. Mi fermano. "Mettiti giù", mi hanno detto».
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Cosa pensò? Che l' avrebbero ammazzata? Che non avrebbe dovuto?
«Niente, in quel momento. Ci hanno già intimiditi coi due colpi in aria, non penso andranno oltre. Invece mi fanno mettere le mani sopra la testa. "Cosa ci fai qui?". Detto con cattiveria. Mi picchiano col calcio del fucile.
Chiedo perdono, dico che il gasolio mi serviva, prego di non farmi male. Peveri mi dice che dovevo pensarci prima. Mi sbatte la testa sulla ghiaia. Poi ricordo il fuoco del colpo, il caldo sul petto e il braccio destro rotto. E nient' altro. Poi la Rianimazione».
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Vi siete più parlati, durante il processo, lei e l' imprenditore?
«Mai. Lo vidi al processo, dall' altra parte dell' aula. Mai un contatto. Non saprei cosa dirgli. Forse gli chiederei perché. Se mi ammazzava (piange, ndr), le mie bambine chi le cresceva?».
Le sentenze hanno detto.
ANGELO PEVERI CON LA FIGLIA MARTINA
«Ha deciso un giudice. La legge. Non io. Non è legittima difesa se metti una persona in ginocchio. Potevano chiamare i carabinieri o la polizia per prendermi. E gli spari non sono stati accidentali: non mi avrebbero picchiato prima, o sbattuto la testa sui sassi. Lo dicono i dottori».
Eppure, dal Viminale, Salvini, si schiera dalla parte di chi ha sparato a sangue freddo. Ha qualcosa da dirgli?
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«Non so. Non ci ho pensato. Nel 2019 esistono leggi e magistrati. Centinaia o migliaia di anni fa ci si faceva giustizia da soli».
Pare che i nostalgici siano centinaia di migliaia.
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«C' è libertà di pensiero. Ognuno dice quello che vuole. Sono arrivato nel 2000 in Italia, sono regolare dall' anno dopo. C' era un' altra vita, c' era lavoro. Oggi non si può dire che in Italia si stia male, o che ci sia gente cattiva. Tanti non lo sono. Però non so se oggi la consiglierei».
Ha ricevuto solidarietà, al di là di famiglia e amici?
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«Se qualcuno, forse ci sarà, è solidale con me non ha avuto ancora il coraggio di dirlo. Io sto ancora male, mi sono operato due volte, mi hanno tolto il lobo di un polmone. Tre dita addormentate. Il braccio destro lo sollevo fino a qui.
Ho 43 anni, sono invalido al 55% ma se mi offrono un lavoro pesante non posso rifiutare, non posso scegliere. Ora faccio il magazziniere. E penso a cosa spiegare alle mie tre figlie. La grande ha 14 anni, la piccola 4. Per ora ho detto che è successa una faccenda brutta, che ho fatto io e che non farò più per non farle star male. Per il resto, non è ancora il momento».