Sara Chiappori per “la Repubblica”
La platea del Piccolo Teatro più affollata delle tribune di San Siro. Gli stadi si svuotano, Shakespeare, Brecht e Bob Wilson riempiono le sale. Almeno le tre gestite dal Piccolo, che ha toccato il record dei 25.000 abbonati. Più di quelli del Milan, che ne ha 19.476. E più o meno quanti ne conta l’Inter che, secondo fonti non ufficiali, dovrebbero superare di poco i 25.000.
Così, mentre le società di calcio inseguono tifosi sempre meno motivati, gli spettatori del Piccolo aumentano con un trend di crescita impressionante, certo in controtendenza rispetto alla vulgata che vorrebbe il teatro come una nicchia per appassionati “out of date” e gli stadi come il massimo dello spettacolo popolare.
Rispetto alla stagione 2014-15, gli abbonati del Piccolo sono cresciuti del 5 per cento e addirittura dell’11 per cento se si torna indietro al 2013-14. Con un altro elemento significativo: i giovani sotto i 26 anni sono il 35 per cento (più 8 per cento rispetto al 2014-15, più 9 rispetto al 2013-14). E il bacino potrebbe allargarsi ulteriormente visto che la campagna abbonamenti è ancora aperta.
Certo, non per tutti i palcoscenici è così. Il Piccolo è speciale, il primo teatro pubblico italiano fondato nel 1947 da Giorgio Strehler e Paolo Grassi: una storia importante e un brand attraente. Soprattutto, negli ultimi anni, ha sviluppato efficaci strategie di comunicazione e marketing, dimostrando di stare al passo con i tempi con cartelloni in equilibrio tra proposte di qualità altissima (fino alla sua scomparsa, l’anno scorso, era il teatro di Luca Ronconi), attenzione al contemporaneo e un’offerta trasversale, spregiudicata quanto basta per intercettare fette di pubblico diverse.
Anche nella logica degli abbonamenti, che si articolano in sedici formule studiate sulle tipologie di pubblico (l’età, la capacità di spesa, i gusti) e sulle sue necessità (si possono scegliere titoli e numero di spettacoli), senza contare l’esuberante attività social e pacchetti di fidelizzazione con la possibilità di usufruire di promozioni.
Insomma, se pure il paragone per ovvie ragioni risulta un po’ forzato, in un ipotetico derby milanese tra teatro e calcio, il Piccolo vince su Inter e Milan. È vero, lo sport nazionale è in crisi, stremato dagli scandali e dall’inflazione di partite in tv con annesse guerre dei diritti che comportano continui cambiamenti di calendario e orari: organizzarsi per andare allo stadio è sempre più complicato, soprattutto per le famiglie. Per non dire dell’abbassamento del livello tecnico e spettacolare. Insomma il pallone, in quella che era la Scala del calcio, con il Milan di Van Basten e l’Inter del triplete, corre un po’ stanco.
ORNELLA VANONI E GIORGIO STREHLER
Mentre sui tre palcoscenici del Piccolo (lo storico Grassi di via Rovello, lo Studio e lo Strehler) succedono cose che per cui vale la pena pagare un biglietto e uscire di casa. Gli abbonati sono 25.000, gli spettatori della stagione scorsa hanno superato i 300.000. Si fa un gran parlare degli stadi come teatri, ma lo spettacolo che piace, a Milano, si fa ancora in palcoscenico.