Elena Stancanelli per “la Stampa”
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Preferirei di no… Ma quando una donna dice no, mica è detto che voglia dire davvero no. E poi potrebbe ripensarci, magari ha solo bisogno di essere incoraggiata. Ma io preferirei di no, davvero. A noi, comunque, non interessa, perché abbiamo deciso altrimenti. Chi abbia deciso altrimenti non è chiaro. Ieri la direzione generale dell’ospedale San Camillo ha messo un post su Facebook.
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Con il quale ha spiegato di non avere nessuna responsabilità nella vicenda. Una volta effettuato l’intervento, “le successive attività relative al trasporto, alla gestione e seppellimento del feto sono di completa ed esclusiva competenza di Ama. Azienda ospedaliera e asl di competenza in alcun modo concorrono ad alcuna scelta in merito alle attività di seppellimento”.
Quindi saranno stati loro a decidere che, nonostante le donne avessero detto di no quando era stato loro chiesto se volevano dare sepoltura al loro aborto terapeutico, era il caso di procedere comunque. Quelle donne, insospettite dalla vaghezza di alcune risposte, hanno deciso di andare a visitare il cimitero Flaminio e hanno trovato tombe sovrastate da croci col loro nome impresso. Un incubo, un film dell’orrore.
Qualcuno, a loro insaputa, aveva deciso di seppellirle per sempre. Di seppellire la loro colpa, che porterà per sempre il loro nome così che chiunque voglia farlo potrà additarle, fotografarle, diffondere come crede l’immagine. Dovremmo trasecolare, noi che temiamo che la nostra privacy venga violata se, per esempio, installiamo sul telefono una app che dovrebbe tracciare l’andamento del Covid.
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Dovremmo batterci perché quel campo sia ripulito dalla vergogna di quelle tombe, traboccare di indignazione. Ma quando si tratta di aborto tutte le regole del vivere civile sembrano saltare, la razionalità scompare. Si comincia con i se e con i ma, si prendono le distanze, si tratta l’argomento con imbarazzo. C’è una legge, spesso disattesa ma comunque in vigore da più di quarant’anni, ma non basta. E’ forse l’unica legge italiana contro la quale ci si accanisce, è tutto un florilegio di bambolotti coperti di sangue, sensi di colpa scagliati come maledizioni, portachiavi a forma di feto da regalare a chi è stata appena dimessa.
Gli anti-abortisti, o i pro life come amano farsi chiamare (come se avessero il diritto di ritenere i loro avversari persone contro la vita) non sono capaci di trovare neanche un attenuante a una donna che abortisce, neanche una circostanza all’interno della quale il suo gesto potrebbe essere compreso.
Molto meno di quando sono disposti a concedere a un assassino, qualcuno che tolga la vita a una persona, qualcuno che ama, è amato, qualcuno la cui esistenza ha lasciato dei segni.
L’episodio scoperto ieri, e che si sta allargando a molti altri casi, rivela qualcosa che le donne, e i pochi medici che ancora si scapicollano perché la 194 non venga completamente disattesa, sabotata dagli obiettori di coscienza, già sanno: ci sono persone per le quali l’aborto non è solo un crimine, ma una maledizione, un presagio funesto, una bestemmia.
Con buona pace di quelle donne, arroganti e presuntuose, che credono di vivere nel XXI secolo e di poter decidere del proprio corpo, va seppellito, come le interiora di un capretto, per salvare la comunità dal maleficio.
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