1. TIZIANA, PRIMI 4 INDAGATI E LEI SI SFOGÒ CON I PM “LA MIA VITA È ROVINATA”
Conchita Sannino per “la Repubblica”
Nel giorno in cui si celebrano i funerali, e Tiziana se ne va a trentuno anni in una bara con la sua bellezza gettata via e frugata da milioni di occhi, spuntano i primi quattro nomi di indagati. Sono gli uomini, presunti amici della donna suicida di Mugnano, finiti nel mirino dell’inchiesta della Procura di Napoli sui “divulgatori” di quei video hot che l’hanno spinta al suicidio.
A Casalnuovo la messa è squarciata dall’urlo della madre: «Non era una pornostar, non era una escort, Tiziana. Ridatele la dignità. È stata uccisa dalla cattiveria della gente», accusa la signora Maria Teresa. Ma fa un effetto straniante, quasi un lugubre sberleffo, che proprio nelle stesse ore, idealmente, la voce di Tiziana emerga per la prima volta, potente, dalle carte giudiziarie. Ecco le sue parole, il verbale dell’ottobre 2015, che segue alla querela del luglio precedente. Tutto è ora agli atti dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Fausto Zuccarelli e dal pm Alessandro Milita.
FUNERALI TIZIANA CANTONE - IL MALORE DELLA MADRE
«Voglio giustizia, chiedo il sequestro di quei siti che mi stanno rovinando la vita», dice, in sintesi, Tiziana assistita dall’avvocatessa Roberta Foglia Manzillo, che poi per disaccordi, e per l’esito di quei 20mila euro di spese processuali inflitte a Tiziana, lascerà l’incarico. Racconta Tiziana: «Io ho girato dei video, con scene intime, di sesso, nell’aprile scorso (anno 2015, ndr). Sono sei video. Poi ho deliberatamente e ingenuamente inviato questi filmati ad alcune persone, diciamo amici».
Si tratta dei quattro oggi sotto inchiesta, per diffamazione: sono Antonio ed Enrico I., padre e figlio; Antonio V. , Luca (connotato solo da un nick name). Il quinto è il “signor R”. Continua la donna: «Io non ho mai, dico mai, autorizzato nessuno di loro a divulgarli, a metterli in rete. Invece, dal 25 aprile, un amico mi avvertì che c’era un mio video su un sito porno. Poi, il 3 maggio, mi rendo conto che ci sono foto e materiali su un altro sito che promuove scambi di coppia. E anche il 9 maggio, una mia foto, inviata ad Antonio e a Luca, è comparsa su un altro sito».
La situazione è insostenibile, Tiziana chiede il sequestro di alcuni siti e denuncia che da quando ha eseguito quel maledetto invio, la sua vita è distrutta. Poco dopo, il pm deve rigettare: spiega che il sequestro appare inutile, i video sono ormai tutti scaricati da centinaia di utenti su altri siti e quindi il blocco non serve più. Intanto continua anche l’indagine della procura di Aversa con l’ipotesi di induzione al suicidio. Caccia a una dozzina di uomini: tra i presunti “amici” che ricevevano filmati, e i “protagonisti” delle riprese hot.
E avvolta da ombre resta anche la figura del fidanzato di Tiziana, Sergio, che potrebbe aver avuto un ruolo di accompagnatore e ideatore del gioco. Altrimenti, ragionano gli inquirenti, non si spiega come avrebbe potuto lui stesso scegliere l’avvocato per Tiziana e partecipare alle spese processuali.
2. “GIUSTO CHIEDERLE LE SPESE LA SENTENZA È INECCEPIBILE”
Antonio Di Costanzo per “la Repubblica”
«Ho condiviso assolutamente l’operato della collega, perché ha agito con grande scrupolo e serietà. Il provvedimento è molto articolato e chiaro. Affronta tutte le problematiche legate al ricorso. Quanto avvenuto ci causa un grande dolore, ma siamo giudici e dobbiamo valutare sul principio della domanda».
Elisabetta Garzo, presidente del Tribunale di Napoli Nord, non ha dubbi sull’operato del giudice Monica Marrazzo che ha accolto parte del ricorso di Tiziana Cantone, ma l’ha condannata anche al pagamento di spese processuali (circa 20mila euro, più o meno la stessa cifra delle società condannate) lì dove la richiesta non è stata ammessa.
Ci spiega cosa è avvenuto?
«Il giudizio della dottoressa Monica Marrazzo nasce da un ricorso proposto in via di urgenza per ottenere l’inibizione della continuazione della pubblicazione di video che la ritraevano sui siti. Ritengo che, inizialmente, questi video siano stati girati con la consapevolezza della ragazza, che, però, non aveva alcuna intenzione che venissero pubblicati».
Invece, sono finiti su Internet…
«Non sappiamo né come né perché siano venuti fuori su siti, network e giornali online. Lo appurerà l’indagine penale. La ragazza ha agito in via d’urgenza per ottenere lo stop a queste pubblicazioni che riteneva la danneggiassero perché le causavano conseguenze psicologiche che poi, purtroppo, l’hanno portata al suicidio».
Quando si è rivolta a voi?
«Il ricorso è stato presentato circa un anno fa. Le parti in gioco erano tantissime. Una volta costituite ci sono state un paio di udienze, non di più. L’8 luglio il giudice Marrazzo le ha invitate alla discussione. Ha depositato il provvedimento ad agosto. È stato pubblicato il 5 settembre. L’iter è stato velocissimo».
La ragazza è stata anche condannata a pagare alcune spese legali. Non è assurdo?
«Nei confronti di alcuni siti internet è stata ritenuta soccombente perché in sede civile la domanda non può essere proposta in maniera non precisa. Ad esempio, per quanto riguarda Yahoo, è stata rivolta nei confronti di Yahoo Italia che non è responsabile del controllo e quindi non è stata accolta. Nel momento in cui il ricorrente è soccombente, viene condannato alle spese».
Non è stato ancora richiesto un risarcimento danni?
«Ancora no. L’unico oggetto della domanda era la rimozione dai siti della pubblicazione delle immagini. In sede di urgenza non si chiede il risarcimento».
Nessun errore?
«Il giudice ha correttamente e analiticamente valutato la domanda in relazione ai singoli convenuti e lì dove la domanda è stata ritenuta fondata, i convenuti sono stati singolarmente condannati alla rimozione al pagamento delle spese».