Mario Gerevini per corriere.it
Pornodivi con laurea in matematica, presunti imprenditori senza fatturato, veri faccendieri inseguiti da decine di cambiali, vecchie signore, prestanome. E poi, dieci giorni fa, l’ingresso nel capitale di due sconosciuti investitori di Santa Maria Capua Vetere, uno di loro in affari con la sorella (arrestata anni fa) e il cognato di Antonio Iovine, uno dei principali boss del clan dei casalesi.
Sono i soci del Mantova calcio, tutti sotto il 10% per dribblare le verifiche su onorabilità e solidità finanziaria, nessuno in grado di tirar fuori i soldi per salvare la società che i calciatori, senza stipendio, hanno salvato sul campo della Lega Pro. È come se nella città di Virgilio, in questo piccolo club di provincia con un antico passato anche in serie A ai tempi di Zoff e Sormani, si fosse dato appuntamento il peggio di quel sottobosco di affari e folklore che il calcio attira come una calamita.
Tanto per delineare il quadro complessivo: il presidente attuale del Mantova, Marco Claudio De Sanctis, romano, pluriprotestato, risulta avere precedenti per illeciti fiscali, emissione di fatture per operazioni inesistenti e truffa. Ha portato il Mantova a un passo dal fallimento ma naturalmente «i soldi stanno arrivando» e comunque il «buco» di bilancio è sempre «colpa della precedente proprietà».
MANTOVA Marco Claudio De Sanctis
Il mantovano Piervittorio Belfanti che fino a qualche giorno fa trattava ufficialmente l’acquisto della società pur risultando nullatenente, invece di caricarsi le sorti dei biancorossi sul suo cavallo bianco, è stato caricato lui su una gazzella dei carabinieri e portato in galera con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata a truffe e reati tributari.
Poi, forte di un brillante curriculum fatto di protesti e classici assegni «cabriolet» sparsi qua e là, si è candidato per qualche giorno anche l’ex presidente della Casertana Luca Tilia, per nulla rimpianto dai tifosi campani.
Ma pochi giorni fa si è aggiunto un fatto nuovo che va oltre il folklore e gli armeggi contabili. Davanti al notaio Claudio Ciaffi di Roma, due signori di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), Antonio Palmieri e Gaetano Russo, hanno rilevato ciascuno il 9% delle quote da uno dei vecchi soci, Andrea Barberis, e dalla sua azienda. Perché l’abbiano fatto è incomprensibile dal momento che il 23 giugno, giorno della transazione, era già evidente che il Mantova rischiava (e rischia tuttora) il fallimento con il ritorno tra i dilettanti.
Di Russo non c’è una sola traccia di attività economiche. Palmieri invece risulta in affari e in (varie) società con la sorella (Anna) di Antonio Iovine, il boss camorrista, oggi collaboratore di giustizia, che fu uno dei principali esponenti con Michele Zagaria e Francesco Schiavone del clan dei casalesi. La stessa Anna Iovine era stata arrestata anni fa nell’ambito delle inchieste sul clan. Il nuovo socio del Mantova ha anche avviato attività con il cognato del boss, Salvatore Diana, marito di Anna Iovine. Eppure il calcio e Mantova in particolare sono (o sembrano) lontani anni luce dagli interessi di questi nuovi azionisti.
Dunque perché entrare in una società sull’orlo del fallimento? Forse ci sono relazioni con l’attuale boccheggiante proprietà che fa capo a De Sanctis, all’ad Enrico Folgori e a una pattuglia di amici-prestanome tra cui il friulano Luca Tassinari, 34 anni, un matematico transitato dalla Tv (La Pupa e il secchione) e finito a recitare film porno. Tassinari lo confessa: «Sono un fiduciario, ho firmato un contratto per questo». Le ombre, non solo del rischio crac, si allungano sul calcio mantovano. La società ha pagato l’iscrizione alla Lega ma ora ha pochi giorni per fornire le garanzie finanziarie sui debiti e passare l’esame della Covisoc.