PURE INDIANA JONES HA PAURA DI ROMPERSI IL FEMORE – A 80 ANNI HARRISON FORD SI ARRENDE ALL’ETÀ: “IL QUADRANTE DEL DESTINO”, IN USCITA NELLE SALE IL PROSSIMO 28 GIUGNO, SARÀ LA SUA ULTIMA INTERPRETAZIONE DELL’AVVENTUROSO ARCHEOLOGO CHE HA FATTO LA STORIA DEL CINEMA – DIFFICILE, AL MOMENTO, IMMAGINARE UN FUTURO PER LA SAGA SENZA IL SUO ATTORE CHE GIÀ A CANNES AVEVA FATTO CAPIRE CHE... - VIDEO

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Estratto dell’articolo di Stefano Giani per “Il Giornale”

 

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Il destino - in questo caso il quadrante che lo determina è strettamente collegato al tempo. E ad esso si riconducono le domande spontanee che sorgono oggi quando il soggetto è Indiana Jones. È accaduto a Cannes dove è stato chiesto ad Harrison Ford se ci sarà ancora un seguito. Insinuazione che solleticava un discorso birichino sull’età del protagonista già oggi ottuagenario. In quell’occasione l’attore disse che «l’età conta» e aggiunse all’interlocutore se avesse «visto la mia faccia».

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All’incontro internazionale che precede l’uscita di Indiana Jones e il quadrante del destino, prevista in Italia per il 28 giugno, ogni discorso sull’età sembra tramontare e trasformarsi in qualcos’altro forse perché è inevitabile pensare come un uomo di ottant’anni possa recitare un domani nei panni dell’archeologo più avventuroso della storia del cinema. […]

 

Difficile per ora immaginare se il futuro porterà nuove sfide, quella che sta per arrivare sul grande schermo in un periodo che non è propriamente ideale per il cinema, nasce dall’entusiasmo «per una storia che mi ha colpito - dice Harrison Ford - e una sceneggiatura davvero stimolante e interessante». Di certo c’è che il professor Jones, strappato alla noia dell’età pensionabile da un nuovo intrigo, porta con sé un’aiutante che condivide la sua stessa passione per l’archeologia. […]

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[…] Proprio in questo si è concentrata la sfida più insidiosa nelle riprese del film. «Certo potrei parlare della difficoltà di girare in contesti molto differenti e dover spostare i set da una parte all’altra del mondo - spiega il regista James Mangold -. È decisamente più comodo lasciare gli allestimenti nello stesso posto. Invece penso che la battaglia da vincere fosse quella relativa alle persone. Lasciare che ognuno degli artisti potesse portare un contributo personale oltre che professionale a quello che stavamo facendo. Qualcosa che desse più vita e maggiori emozioni alla vicenda che abbiamo voluto raccontare. E questa sfida l’abbiamo vinta».

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Come a dire, insomma, che non è certamente sul terreno della tecnologia che il cinema gioca la sua competizione più difficile. Anzi. È sempre e soprattutto sul lato umano che conta sempre di più, anche quando il computer sembra riuscire a mascherare qualsiasi problema. Perfino gli stati d’animo.

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