Estratto dell’articolo di Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”
Forse qualcuno tra i governi della Nato deve aver tirato un sospiro di sollievo. Il vertice dei Paesi che sostengono l’Ucraina, previsto a Ramstein, in Germania, il prossimo 12 ottobre, è stato rinviato a data da destinare, dopo che il presidente americano Joe Biden ha cancellato il viaggio […] a causa dell’emergenza nazionale imposta dall’uragano Milton.
Già, perché nella grande base militare Usa del Palatinato i capi di Stato e di governo atlantici non avrebbero solo parlato insieme a tutti gli altri degli aiuti militari ed economici a Kiev. Ma sarebbero stati confrontati di persona per la prima volta con i nuovi piani dell’Alleanza, che il generale americano Christopher Cavoli e l’ammiraglio francese Pierre Vandier, i due capi militari dell’organizzazione, hanno inviato già dalla primavera scorsa alle capitali atlantiche.
Si tratta di documenti riservati, di cui il settimanale tedesco Welt am Sonntag ha rivelato nei giorni scorsi il contenuto, nei quali i due ufficiali fissano le nuove «Minimum Requirements Capabilities», le capacità minime richieste ai 32 Paesi della Nato, di fronte alla crescente minaccia russa e alla necessità di rafforzare il meccanismo difensivo alleato.
Lo stesso neosegretario del Patto, l’ex premier olandese Mark Rutte, lo ha detto chiaramente insediandosi il 1° ottobre scorso: «Abbiamo bisogno di forze più numerose e meglio equipaggiate, di un’industria della difesa transatlantica più robusta e di una capacità di produzione maggiore in questo campo» […]
In concreto, la Nato chiede ai Paesi membri di andare ben oltre la soglia minima di 82 brigate «combat ready», pronte a combattere, considerate sufficienti prima della guerra in Ucraina, portandole a 131 entro il 2031. Un aumento, cioè di 49 unità da 5 mila soldati ciascuna, per un totale di almeno 150 mila effettivi in più.
Non solo, i capi militari esprimono forte preoccupazione anche per le grosse lacune delle difese antiaerea e antimissile, di fronte alla minaccia permanente dei missili Iskander e antinave russi stazionati nell’enclave di Kaliningrad, cioè a breve distanza dalle principali capitali europee.
Così, i documenti indicano come obiettivo entro il 2030 un drammatico aumento delle unità della difesa antiaerea atlantica basata a terra, dalle attuali 293 a 1.467. Si tratterebbe quindi di moltiplicare per cinque i sistemi operativi al momento, che comprendono fra gli altri i Patriot americani, gli Iris-T Slm tedeschi, i Samp/T italofrancesi.
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Che il contenuto di informazioni così sensibili sia stato fatto arrivare ai media, è un segnale del grado di inquietudine dei comandi alleati di fronte alla postura aggressiva della Russia.
Mentre le dichiarazioni di Rutte confermano la volontà di premere sui governi della Nato, alle prese con le ristrettezze dei bilanci nazionali: «Suonando l’allarme sul grado di preparazione, il nuovo segretario generale vuol far avanzare l’idea che il 2% del Pil per le spese militari non basti più, ma è necessario puntare al 3%», dice Elie Tenenbaum, dell’Institut francais des relations internationales.
GUIDO CROSETTO - GIORGIA MELONI
Attualmente solo 23 dei 32 Paesi della Nato hanno ufficialmente raggiunto l’obiettivo del 2% fissato già nel 2014 al vertice di Cardiff, nonostante la spesa militare dei membri europei dell’Alleanza sia passata da 235 a 380 miliardi di dollari negli ultimi dieci anni .