Giulia Zonca per “la Stampa”
replica di venezia vicino al khalifa stadium
Una finta Rimini sul lungomare di Lusail, vicino allo stadio che ospiterà la finale, la Venezia di plastica nel mall davanti al Khalifa Stadium, la copia di Manhattan costruita ovviamente in verticale nella West Bay, come la replica di Hyde Park in faccia all'università. Il trasferello dell'Occidente in mezzo al Qatar dichiara un'ambizione: somigliare al mondo quotidianamente accusato di spocchia. Questo Mondiale è un gioco di specchi deformanti, dove ognuno deve fare il conto con il proprio riflesso.
La prima Coppa del mondo organizzata da un Paese arabo porta a un inevitabile confronto tra il calcio declinato a Ovest e quello vissuto dal Medio Oriente. Il campo doveva essere terreno di incontro solo che al momento sta esasperando le differenze e non è dato sapere se il 18 dicembre, giorno della chiusura, si arriverà all'intesa.
Ore 18, la sfida tra Belgio e Marocco è appena finita, 0-2, l'ennesima sorpresa di un torneo che non ne vuole sapere di rispettare il copione e una sfilata di costumi da leone con le bandiere della Palestina. È la causa araba, istanza che l'Europa e il Nord America maneggiano con cura e che qui sbandierano, la portano al braccio.
È successo dopo la vittoria dell'Arabia Saudita contro l'Argentina e ricapita nella festa del Marocco, con tifosi che alzano i disegni della kefiah. Pure se non c'è nessuna diretta relazione, qui oppongono la questione territori occupati alle campagne inclusive, agli arcobaleni. Non c'è parentela o contrasto, ma è andata così e se chiedi perché non esistono spiegazioni: «Non esiste solo quello che interessa a voi». Vero, solo che si confondono piani molto distanti tra loro.
Gli arabi si sentono giudicati, ma questo non giustifica la limitazione dei diritti dovuti. Gli Europei si sentono nel giusto, ma questo contrasta la brutta abitudine, per esempio, di un certo seguito inglese ancora vestito da crociato, così come una latente superiorità colonialista che purtroppo, a sprazzi, resta in circolo.
Doha si nutre di contraddizioni. I sostenitori del Marocco, allargati a tutti gli arabi arrivati qui, ballano davanti all'M7, il centro culturale che ospita una mostra tributo a Valentino e squarci di Roma e moda italiana che racconta proprio il gusto desiderato e l'atteggiamento condannato. Tutto insieme.
Ci sono i track food, come al Borough market di Londra e certi hanno pure quel logo sopra, il fake del cibo di strada. Fa sorridere, perché quel mercato è nato come luogo meticcio prima di essere tendenza e qui potrebbe essere lo stesso, con una popolazione al 90 per cento di immigrati, invece al momento si vede solamente la cartolina, la riproduzione. Altrove, il modello inizia a lasciarsi contaminare dalla vita locale.
Oxygen Park, dentro Education City, distretto giovane della città. È appena finita Belgio-Marocco, c'è Croazia-Canada dentro la cornice di un parco londinese. Le sdraio sul prato davanti al maxischermo, gli angoli per comprare il caffè e il pop corn, ma non c'è birra e non può essere Gran Bretagna. È un altro modo di vivere il pallone, più tiepido verrebbe da dire, almeno per chi è abituato alla passione da cui adoriamo farci devastare quando una squadra si impossessa di noi. Eppure, dopo dieci minuti, è impossibile non accorgersi dell'autenticità del posto. È diverso dall'Europa, molto, ma non è finto solo perché nessuno urla e ondeggia.
Ci sono le famiglie, tante, donne, tutte velate, che giocano a pallone con i ragazzini, plaid da picnic apparecchiati anche mentre quelli sul mega video segnano. Non sono indifferenti, sono distanti, però vogliono stare lì. Ritrovarsi sotto le luci a mongolfiera. Stare al sicuro, con i bambini piccoli e le biciclette, Aisha con un palla sotto braccio e un pupo nel passeggino, chiarisce: «Non verrei qui se sapessi di poterci trovare degli ubriachi e sarebbe un peccato perdermi queste serate».
Non si sentirebbe a proprio agio se l'atmosfera fosse quella del vero Hide Park durante gli ultimi Europei. Stavolta sì, è un'altra cultura ed è probabile che sia eccessivo etichettare come proibizionismo il desiderio di stare in un luogo pieno di gente dove le persone sono sobrie. È una possibilità, un modo di vederla e di viverla. In bilico tra imitazione e contrapposizione basterebbe non lasciare spazio alla limitazione della libertà.
Doha non è l'America degli Anni Venti, non c'è bisogno di contrabbando per trovare dell'alcol, però non è neanche un posto dove l'uguaglianza oggi è un valore. L'Europa piace quando si può mangiare allo stesso modo e diventa il nemico se difende dei principi. In mezzo a incroci quasi impossibili si gioca, ogni giorno, con la strip di Las Vegas trapiantata sulla Corniche. Prima o poi ci si incontra. Difficile che capiti durante questo Mondiale.
fan zone qatar 3 fan zone qatar 2 qatar oxygen park 2