Giuliano Aluffi per “il Venerdì - la Repubblica"
Capita a tutti di ritrovarsi a cantare a squarciagola una canzone di successo e trarne un piacere profondo pur senza comprenderne più di tanto il testo, magari perché in un'altra lingua, o il messaggio sociale e politico. "Succede perché il nostro cervello tratta in maniera separata e parallela le componenti di una canzone, come la melodia e il testo" spiega Susan Rogers, oggi docente di cognizione musicale al Berklee College of Music di Boston, ma in gioventù sound engineer per gli album e i tour Purple Rain e Sign o' the times di Prince.
SUSAN ROGERS - This is what it sounds like What the music you love says about you
"Se intoniamo You make me feel (like a natural woman) possiamo scegliere se focalizzarci sul testo dove Aretha Franklin rivendica la sua femminilità o sulla sognante melodia composta da Carole King, o su entrambi gli aspetti, e trarne in ognuno dei casi il massimo beneficio per l'umore".Rogers è autrice di un saggio che spiega, rifacendosi alle neuroscienze, in che modo le canzoni che amiamo influenzano la nostra personalità: This is what it sounds like. What the music you love says about you (W. W. Norton, 288 pagine, 30 euro).
"Ognuno di noi ha un suo "profilo di ascoltatore", composto da sette dimensioni: tre (autenticità, realismo, novità) entrano in gioco nell'apprezzamento di qualsiasi forma d'arte. Le altre quattro - melodia, testo, ritmo e timbro - sono specifiche della musica e vengono processate ognuna da un circuito neurale dedicato: cosa che ci permette di immergerci in un motivetto senza pensare al testo" spiega Rogers.
CUORE, TESTA E.. FIANCHI
"Ognuno dei quattro circuiti ci gratifica in modo diverso durante l'ascolto. La melodia accende le emozioni: se la canzone fosse un corpo, corrisponderebbe al suo "cuore". Il testo invece solletica le nostre aree cognitive, ed è quindi la "testa". Il ritmo stimola il sistema neuromotorio, ci spinge a muoverci, è come i "fianchi" di un pezzo. Infine il timbro esprime l'identità del suono, ci fa distinguere i singoli strumenti, e ci aiuta ad immaginare l'aspetto fisico di chi canta: è quindi il "volto" di un pezzo".
Queste dimensioni d'ascolto interagiscono nel modo in cui fruiamo la musica: "Il cervello instrada il flusso acustico di un brano in due circuiti diversi - uno per la comprensione del linguaggio e l'altro per la melodia - che hanno qualche sovrapposizione. La priorità è data alla voce, per ovvie ragioni evolutive" sottolinea Rogers. "Ma dopo ripetuti ascolti, la mente si abitua: il testo non ha più nulla di nuovo da dirci, si mettono a riposo i neuroni che interpretano il linguaggio e l'attenzione si fissa sulla melodia, processata da un circuito cerebrale più antico e più direttamente connesso alle emozioni".
TRISTE O ALLEGRO
Accordi e melodie sono valutati in un'area, il giro temporale superiore, coinvolta anche, in parte, nel riconoscimento della voce al fine di intuire lo stato d'animo degli altri. "Ad esempio una voce con timbro grave, intensità ridotta, senza scoppi sonori, ci suggerisce che una persona è afflitta" spiega Alice Mado Proverbio, docente di neuroscienze sociali presso l'Università di Milano-Bicocca e autrice del saggio Percezione e creazione musicale (Zanichelli, 224 pagine, 28,20 euro).
Alice Mado Proverbio Percezione e creazione musicale
"Questa estrazione automatica del significato emotivo si ha anche per le melodie. Se un brano è in tonalità maggiore (come Jump dei Van Halen, o Stand by me di Ben E. King), o è vivace come tempo, o ha caratteristiche che ricordano i suoni di bambini che giocano, allora ci trasmette allegria. All'opposto, giudichiamo tristi i brani in tonalità minore (come Hotel California degli Eagles o Losing my religion dei R.E.M.".
Ma anche la musica triste può giovarci: "Ha un effetto consolatorio, soprattutto se coviamo una sofferenza psicologica: perché attiva la cosiddetta 'risposta di compassione empatica', innalzando i livelli del neuro ormone prolattina, prodotto in grandi quantità durante il parto e l'allattamento per la sua capacità di attenuare il dolore" spiega Mado Proverbio. "Ciò ha l'effetto di un farmaco, ed è proprio come se la mamma ci consolasse".
Un'altra fonte di piacere, nell'ascolto, è il modo in cui i compositori giocano con le nostre aspettative: "Sentiamo un brivido di anticipazione quando pensiamo di sapere ciò che sta per accadere - l'arrivo del ritornello, o del coro - e se la previsione si avvera, si eccita il circuito neurale della dopamina, detto anche 'della ricompensa'" spiega Rogers.
"Ma anche l'imprevisto, durante un brano, ci tonifica: il cervello ci segnala i nostri errori di predizione rilasciando ancora più dopamina". È una scarica euforizzante che facilita l'apprendimento: "Se capita un evento inaspettato - ipotizziamo un uomo primitivo che s'imbatte in un cespuglio di prelibate more là dove pensava ci fossero solo sterpaglie - una tempesta di dopamina inonda i neuroni per far sì che ci ricordiamo di quella sorpresa, e affiniamo le previsioni future" spiega Mado Proverbio.
FREE JAZZ, TROPPE SORPRESE
Sono proprio queste scariche a farci affezionare alle canzoni: in uno studio del neuroscienziato Robert Zatorre si sono fatte ascoltare, a dei soggetti sotto risonanza magnetica, delle canzoni a loro sconosciute, registrando per ognuna l'effetto sul nucleus accumbens, regione cruciale del sistema della ricompensa.
Si è visto che più un pezzo attivava il nucleus accumbens, maggiore era il desiderio di ascoltarlo ancora. "Comunque questi sono trucchi che nel pop/rock si usano con un certo equilibrio: non tutti desiderano che le loro attese vengano costantemente violate" osserva Mado Proverbio. "Ecco perché certi stili musicali come il free jazz, che si basano sull'imprevedibilità, sono prediletti dagli esperti ma sono assai poco popolari".
Un discorso a parte meritano i testi delle canzoni. "Sono il principale punto di accesso alla nostra individualità. Soprattutto in quel periodo, l'adolescenza, contraddistinto dalla nostra ricerca di identità" spiega Susan Rogers. "Le parole delle canzoni forniscono agli adolescenti un modo per rispecchiarsi nelle idee e nelle storie di qualcuno, e sentirsi parte di una comunità. Questa identificazione è, per loro, vitale: se si chiede a dei soggetti "Cosa pensi di te stesso" e "Cosa pensano di te gli altri", le aree cerebrali che si attivano sono distinte negli adulti e sovrapposte nei teenager: perché per loro il giudizio altrui è molto più introiettato nel senso del sé".
Più immediato del potere delle parole è quello del ritmo, come ben sa chi, in discoteca, si butta in pista quando dagli altoparlanti partono le note giuste: "Il sistema uditivo si è evoluto in modo che il suono venisse processato più rapidamente rispetto agli altri input sensoriali: abbiamo potenti connessioni che collegano la corteccia uditiva alla corteccia motoria, così che quando udiamo un certo suono possiamo agire ancora prima di pensarci" spiega Rogers.
"Siamo fatti così in modo da poter scattare se avvertiamo un rumore minaccioso dietro di noi. Quando poi percepiamo una sequenza regolare di suoni, la corteccia uditiva e quella motoria dialogano e ci spingono a tenere il ritmo muovendoci. Se riusciamo a tenere il tempo, significa che le nostre previsioni sul prossimo battito sono azzeccate, e c'è un piacevole rilascio di dopamina".
ascoltare musica migliore il nostro umore
Con differenze tra i vari stili musicali: la samba ci induce a tenere il ritmo con i fianchi, mentre la musica funky ci spinge a muovere la testa avanti e indietro, con quell'effetto "piccione" così buffo da vedere negli altri ma così gratificante per chi ci si abbandona.