Federico Taddia per “la Stampa”
«Dobbiamo avere il coraggio di dire che quello non è un posto per loro». Essere capaci di alzare barriere verso il virtuale e saper offrire alternative nel reale: è quello che chiede Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell' età evolutiva, ricercatore alla Statale di Milano, e autore di "Tutto troppo presto", un manuale sull' educazione sessuale dei figli nell' era di internet.
Pellai, perché si può morire a 10 anni per una sfida raccolta in rete?
ANTONELLA LA BAMBINA DI 10 ANNI MORTA PER UNA CHALLENGE SU TIKTOK
«Queste "Challenge" vengono proposte a bambini e ragazzini che non sono il grado di gestire il senso del limite, la consapevolezza del confine: sono piccoli, non hanno ancora interiorizzato nulla. La sopravvivenza è un concetto che non maneggiano, perché fino a quel momento è stata gestita dagli adulti. E' un campo in cui non hanno competenze: non conoscono il loro corpo, le conseguenze di certi gesti, non hanno percezione della linea del pericolo. La sfida richiesta è superiore alle capacità che il bambino può mettere in gioco».
Tutta colpa del web?
«I questi mesi i nostri figli hanno subito un'accelerazione al digitale, dovuta all'iperconnessione. Spesso senza la possibilità di un sostegno, di un accompagnamento educativo. L'online è diventato il loro parco giochi, dove fare scuola, intrattenersi, passare il tempo. E tutto è amplificato da questo periodo di cui sono in totale passivizzazione e decorporeizzazione: sono senza corpo, senza relazioni, senza socializzazione. Fuori c'è il deserto e così trovano più risposte possibili nella virtualizzazione. Il corpo dei bambini però non è solo un contenitore, è anche un contenuto della loro crescita.
Hanno bisogno di esercitarlo, di movimentarlo, di renderlo protagonista, di sentirlo reagire, di capire le sensazioni che produce. Aspetti complicatissimi da tenere sotto controllo a 10 anni, un' età spaventosamente maldestra, in cui è iperattivata la ricerca di emozioni, eccitazioni, tentazioni, emulazioni degli adulti. Il cervello spesso va per conto suo, manca la capacità autoregolativa. Quella, infatti, è consegnata e delegata agli adulti. E' un loro compito».
Gli adulti controllano troppo poco?
«Bisogna lavorare sulle competenze, dare strumenti ai bambini per comprendere. E definire che si sono limiti che non possono essere valicati. Quali siano queste regole i bambini hanno bisogno di sentirselo dire, raccontare. Così come hanno necessità di vedere che l' adulto sa supervisionare e presidiare quel confine. Perché se mamma o papà fanno da sentinella, i bambini stanno più tranquilli, perché sanno di poter osare la trasgressione proprio perché c' è qualcuno pronto ad intercettarli. Questo nella vita reale succede continuamente, quotidianamente. Nel web, nella vita virtuale, quasi mai.
I bambini vanno tenuti fuori dai social?
«Decisamente sì. E' come dire a tuo figlio di dieci anni: "Esci di casa, prendi il treno per Milano o Roma, passa una bella giornata e torna alla sera". I bambini non hanno abilità per fare questo, e se non le hanno non possono inventarsele. Devono essere allenati, preparati, istruiti. Le neuroscienze ce lo dimostrano in tutti i modi: quello dei social - ma la rete in generale - è un territorio iperstimolante, ipereccitante. Ed entrare in quei territori senza le difese specifiche è rischioso, perché ci si può fare davvero molto male».
TikTok è frequentatissimo da bambini, anche con il consenso delle famiglie: non è un social per i più piccoli?
«TikTok è una fiera dell' esibizione, della sessualizzazione precoce, della seduzione, della competizione: per quale motivo devo far entrare mio figlio dentro a quella dimensione? Io non riesco a pensare che ci sia un TikTok a misura di decenne, così come non c' è un sito pornografico adatto a un dodicenne: però migliaia di decenni sono su "TikTok" e migliaia di dodicenni accedono alla pornografia.
La responsabilità è di un sistema che continua a pompare nei figli l' idea che là dentro trovano il paese dei balocchi, un luogo che contiene tutto ciò che non trovano fuori.
Certo, il fuori deve diventare più strutturato, accogliente e stimolante. Ma è arrivato il momento di gridare che il dentro non è l' alternativa. Non è un posto per loro».